Assessora, sindaca, avvocata: i femminicidi non si risolvono con le parole vuote

Ogni nuovo caso di violenza contro le donne è una testimonianza sanguinante del fallimento delle nostre priorità

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Nel riquadro della foto Giulia Cecchettin

Negli ultimi anni, abbiamo assistito a una spinta per cambiare il linguaggio, introducendo termini come ‘avvocata’, ‘sindaca’, ‘assessora’, nel nome dell’uguaglianza di genere. Ma di fronte a tragedie come l’uccisione di Giulia Cecchettin, non possiamo che chiederci: serve davvero a qualcosa?

Questa tragedia ci mostra in modo crudele che la risposta è no. Il cambiamento linguistico è un esercizio superficiale e, peggio, un diversivo dalle questioni urgenti che richiedono azioni concrete. È una cortina fumogena che nasconde l’incapacità o la riluttanza a combattere la vera radice del problema: la violenza di genere radicata nella società. Non è cambiando il genere delle parole che si salveranno vite.

Ciò che serve sono riforme legislative rigorose, campagne di sensibilizzazione effettive, risorse adeguate per le vittime di violenza e un cambiamento culturale profondo. Guardiamo ad esempio alla Spagna, dove le leggi contro la violenza sulle donne hanno avuto un impatto tangibile, mostrando che le azioni concrete possono fare la differenza. L’attuale ossessione con il linguaggio è un tragico esempio di come abbiamo perso di vista l’obiettivo. Ogni nuovo caso di femminicidio è una testimonianza sanguinante del fallimento delle nostre priorità. È tempo di svegliarsi e realizzare che senza un intervento reale e sostanziale, continueremo a contare i corpi delle vittime, mentre discutiamo su come chiamarle.