Giustizia o vendetta? Ergastolo o pena di morte? L’Italia si interroghi

Dobbiamo riflettere su chi vogliamo realmente essere come società

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L’arresto in Germania di Filippo, ex fidanzato di Giulia e principale sospettato del suo omicidio, ha riacceso un dibattito cruciale in Italia: la nostra risposta ai crimini più efferati. Il caso, che segue una serie di altri fatti di cronaca drammatici, solleva una domanda fondamentale: cerchiamo giustizia o vendetta?

La pena di morte in Italia è un ricordo lontano, abolita con la nascita della Repubblica nel 1948. Questa decisione, radicata in un profondo rispetto per la dignità umana, pone l’Italia in netto contrasto con molti altri paesi dove la pena capitale è ancora in vigore. Ma episodi recenti, come la scarcerazione di Dimitri Fricano, condannato per aver ucciso la fidanzata con 57 coltellate, sollevano interrogativi sulla nostra percezione della giustizia.

Prendiamo il caso di Annamaria Franzoni, condannata per l’omicidio del figlio e ora tornata alla vita quotidiana. O di Erika, coinvolta nel delitto di Novi Ligure, che oggi lavora in un’azienda agricola. Questi esempi, insieme alla liberazione di Ruggero Jucker, autore di un omicidio brutale, illustrano un sistema giudiziario che per alcuni appare inefficace, incapace di offrire una giusta punizione.

La domanda diventa quindi: cosa cerchiamo realmente attraverso il nostro sistema di giustizia? La nostra ricerca è per una giustizia equa, che punisce ma anche rieduca, o siamo mossi da un desiderio di vendetta, una risposta emotiva agli orrori dei crimini commessi?

Non si può ignorare il dolore e la rabbia delle famiglie delle vittime. Il loro desiderio di vedere i colpevoli pagare pienamente per i loro atti è comprensibile. Ma è essenziale distinguere tra giustizia e vendetta. La prima cerca il ripristino dell’ordine e il riconoscimento del danno causato, mentre la seconda è guidata dal desiderio di infliggere dolore in cambio del dolore subito. Ma cosa significa realmente questo ripristino dell’ordine o il riconoscimento del danno per un padre che ha perso tragicamente sua figlia, vittima di un crimine orrendo e irrimediabile? Nessuna sentenza può realmente ‘ripristinare l’ordine’ distrutto da una bestia. La giustizia diventa più di una semplice applicazione di leggi e pene, diventa un processo di riconoscimento del dolore immenso e irrimediabile. È qui che la giustizia si distingue dalla vendetta – non cerca di replicare il dolore, ma di riconoscerlo.

Dobbiamo riflettere su chi vogliamo essere come società. Il grido della popolazione per il ritorno della pena di morte non è solo una risposta emotiva ai crimini; riflette anche una profonda sfiducia verso le nostre istituzioni e il sistema giudiziario e questo sentimento di sfiducia non nasce dal nulla. È il risultato di anni di percezioni di ingiustizie, di pene percepite come inadeguate o di procedimenti giudiziari che sembrano non tenere conto del dolore delle vittime e delle loro famiglie.

La necessità che la giustizia sia non solo fatta, ma anche percepita come tale, si fa ancora più urgente quando si tratta di femminicidio, mancano ancora leggi adeguatamente forti e un approccio culturale coerente. Il dibattito si accende nelle scie emotive di tragedie come l’omicidio di Giulia, per poi rapidamente spegnersi, lasciando il posto a un silenzio colpevole fino al prossimo episodio di violenza. Questa ciclicità di indignazione e oblio non solo fallisce nel produrre cambiamenti significativi, ma anche nel riconoscere e affrontare le radici profonde del problema, ovvero una società che ancora lotta per affrontare le dinamiche di potere, le disuguaglianze di genere e la violenza domestica. Occorre educazione, prevenzione ed una legislazione che non solo punisca i colpevoli, ma che lavori attivamente per prevenire queste tragedie.

In questo contesto, il ruolo dei giovani diventa fondamentale. È essenziale che i ragazzi siano educati su temi come il rispetto reciproco, l’uguaglianza di genere e l’importanza del consenso. Questa educazione non dovrebbe limitarsi ai confini delle aule scolastiche, ma estendersi in ogni aspetto della loro vita quotidiana – nei media, nelle loro interazioni sociali, nelle loro famiglie. Bisogna incoraggiare discussioni aperte e oneste sulle relazioni, su possesso, sul rispetto dei limiti e sulla gestione dei conflitti..

Come Paese che ha detto no alla pena di morte, l’Italia ha già scelto un cammino di rispetto e dignità umana. Ora, vogliamo anche una giustizia che sia veramente giusta e umana.