Diario di un “NonPapà”: quando spatti con la madre e cominci a contare zero

Il nonpapà è un essere quasi mitologico, metà principe azzurro e metà minchia

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Manca poco e non festeggio il mio non compleanno di non papà, anzi, nonpapà, un’unica, antipaticissima, parola. Sembrano lontanissimi i tempi in cui, con mia figlia appena nata, venivo sballottato tra pannolini, ciucci e poppate e non mi filava nessuno. Perché, possiamo dircelo serenamente, quando i figli sono piccoli, i papà non se li fila nessuno. Figuriamoci poi i NonPapà! Trattasi di genitore – uno o due non importa, perché molto crudamente, in questo nostro assurdo Belpaese, conta esattamente zero – esemplare di sesso maschile che ha figliato ma che, dopo avere sgravato, ha osato “spattare” con la genitrice, sfidando così le sempiterne ire furibonde del globo terracqueo, ancestralmente alleato con la dea Madre Suprema.

É un essere quasi mitologico, il nonpapà, metà principe azzurro e metà minchia. Anche se sull’esatta ripartizione in percentuali ci sarebbe molto da discutere. Da quel momento, dal quel preciso momento dello spattamento, la vita cambia per sempre, diventi un nonpapà ed è con questa identità che fai il tuo nuovo debutto in società. La prima domanda che ti viene posta nella tua seconda vita è un sorta di trabocchetto: vuoi tu, nonpapà, essere un nonpapà? E tu, ancora euforico per avere in qualche modo contribuito a mettere al mondo una meravigliosa creatura, rispondi catatonicamente di sì, perché il tuo neurone – sei sempre un esemplare di sesso maschile – si lascia cullare dal suono di quella bella parolina, papà, e si rifiuta di elaborare quel pezzettino negativo che la precede. Lo capta, ne avverte la presenza a dir poco inquietante, ma non riesce a elaborarlo, proprio non ce la fa, e lo lascia catastroficamente scivolare nell’incoscienza.

E anche tu imparerai con il tempo, botta dopo botta, lacrima dopo lacrima, dolore dopo dolore, che lasciarsi scivolare nell’incoscienza, che sia alcolica o meditativa, spesso è un’imprescindibile via di fuga. Anche se non scappi. No, non scappi. I nonpapà non scappano, neppure quando sembra che non resti altro da fare. Vacillano, barcollano, ma resistono disperatamente aggrappati a quella bella parolina di quattro lettere, cercando di sentirla propria, a dispetto delle lacrime, del dolore, della realtà, e mandano affanculo quello stronzissimo non.