Tutela degli ecosistemi marini, gestione sostenibile del patrimonio ittico, pianificazione dello spazio marittimo, formazione professionale dei pescatori, rinnovo della flotta e innovazione tecnologica. Sono questi i temi affrontati durante il convegno “Parliamo di mare: la pesca, l’acquacoltura e il coraggio di scommettere“, svoltosi recentemente presso la Stazione Marittima di Pozzallo nel ragusano. Un momento di approfondimento,
voluto dal ministro con la delega al Mare Nello Musumeci, in collaborazione con il ministro della Pesca Francesco Lollobrigida.Presenti tra gli altri anche il sottosegretario Patrizio La Pietra e l’ammiraglio Pierpaolo Ribuffo, capo dipartimento delle Politiche marittime che ha dichiarato: “Parliamo di mare è un’iniziativa che riflette l’attenzione che il Governo Meloni sta rivolgendo al mare e a tutte le filiere dell’Economia Blu e costituisce un’occasione di confronto diretto tra rappresentanti delle istituzioni, del mondo scientifico, delle associazioni di categoria e delle imprese del settore”.
Secondo quanto è emerso dall’incontro, negli ultimi anni c’è stato un calo della produzione del pescato in Sicilia così come delle aziende del settore; si è parlato tra le altre cose della mancanza di grandi mercati ittici nella nostra regione e della necessità di utilizzare i fondi stanziati per il comparto dal governo nazionale.
Nino Accetta, presidente di Fedagripesca Sicilia
Sulle problematiche inerenti al settore ittico in Sicilia abbiamo intervistato il presidente di Fedagripesca di Confcooperative Sicilia, Nino Accetta.
Qual è, secondo lei, lo stato attuale del settore della pesca in Sicilia e quali sono le principali sfide che le imprese e i pescatori devono affrontare oggi?
“La pesca siciliana sta attraversando un periodo e a dire il vero ormai ci accompagna da un bel po’ di tempo, che sta mettendo a dura prova la solidità delle nostre imprese di pesca. Le continue restrizioni imposte dall’Europa, ormai impartite da quasi un ventennio, hanno solo dimezzato la nostra marineria senza che ne abbia beneficiato la risorsa. Le attività trainate per prime ne stanno pagando le conseguenze. Ma non solo.
Ultimamente per salvaguardare il Nasello ne è stata proibita la cattura anche alla piccola pesca che nessun impatto ha su questa risorsa. La sfida è quella di sconfessare un disastro annunciato in termini di abbandono dell’attività monitorando i dati della salute degli stock nel mediterraneo attraverso studi condotti direttamente dalla nostra Regione, con la speranza di invertire la rotta, non verso una pesca incontrollata ma sicuramente rispettosa dell’ambiente e che ci veda protagonisti del nostro destino. Purtroppo, questo ad oggi è nelle mani di altri decisori”.

In che modo la cooperazione tra imprese, istituzioni e comunità locali può contribuire a sostenere e rilanciare il comparto della pesca nella nostra regione?
“Pescare meno e vendere meglio è quello che oggi ci viene detto in tutti i modi e allora dobbiamo cercare di creare il più possibile valore aggiunto a quello che catturiamo promuovendo sempre di più quei prodotti che i nostri mari ci danno. Penso alla piccola pesca artigianale e al ruolo che riveste per i territori costieri con la vendita diretta o attraverso la ristorazione con un’azione mirata ai consumatori indirizzandoli verso un ventaglio di prodotti dei quali i nostri mari sono custodi”.
Quali opportunità intravede per favorire il rinnovamento del settore, sia in termini di giovani che di innovazione nelle tecniche di pesca e nella commercializzazione del prodotto?
“Il ricambio generazionale è praticamente fermo. I nostri padri, che hanno ereditato questa attività dai loro genitori, custodendo saperi e tradizione, oggi con una situazione del genere difficilmente consigliano ai figli di continuare. Non dobbiamo perdere le speranze e reagire mettendo a frutto l’intelligenza dei giovani legata ai saperi dei più grandi per potere risalire. Penso alla trasformazione e commercializzazione dei nostri prodotti come alla diversificazione in attività turistiche almeno nel periodo primavera/estate delle attività artigianali. Dobbiamo abbracciare a 360 gradi quello di cui il settore è ricco. Noi siamo i migliori pescatori al mondo ma non basta. In questo momento dobbiamo attirare i giovani mettendo in atto una politica di trasformazione delle nostre imprese e chiedendo aiuto alla politica locale per assisterci in questo passaggio. Si può fare, bisogna ancora crederci”.
Come descriverebbe la realtà della pesca nel territorio palermitano e quali sono le caratteristiche che la contraddistinguono rispetto ad altre zone della Sicilia.
“La situazione delle imprese operanti nel territorio palermitano non si discosta da quella che è una linea generale di crisi del settore. Marinerie importanti come quella di Porticello per fare un esempio soffrono allo stesso modo di quella Saccense o dell’Adriatico. La pesca a strascico, ai piccoli pelagici, ai grandi pelagici, prerogativa di questo territorio, oggi è segnata da una restrizione che l’ha messa a dura prova e che rischia di ingessare questo settore. Basti pensare alle richieste di demolizione che sono state avanzate a livello nazionale: più di mille imprese hanno chiesto di demolire la propria imbarcazione. Questo la dice lunga sullo stato di salute del settore”.
Quali interventi o iniziative ritiene necessari per valorizzare maggiormente il pescato locale e rafforzare il rapporto tra pesca, comunità e mercato nel palermitano?
“Promuovendolo attraverso incontri mirati con scuole, famiglie e ristoratori in modo da valorizzare il più possibile una ricchezza a molti sconosciuta o dimenticata, che conserva in sé tradizioni culinarie di grande spessore”.




