C’è chi, con toni trionfali, proclama che la mafia sia stata sconfitta. Gli arresti eccellenti degli ultimi anni, i blitz che hanno decapitato intere famiglie, la ritrovata fiducia dello Stato nelle sue stesse forze sembrano suggerire che il peggio sia passato. Ma a guardare bene ciò che sta accadendo a Palermo, la cruda realtà sembra raccontarci un’altra storia. Una narrazione inquietante, che pone una domanda tanto scomoda quanto necessaria: e se la mafia, quella delle estorsioni, delle intimidazioni, della prepotenza e della sopraffazione, quella che vuole il potere cittadino sostituendosi allo Stato, esistesse ancora? Ci stiamo abituando forse troppo in fretta a dire che la mafia non esiste più, che si è ormai trasformata in quella dei colletti bianchi. Che non è solo a Palermo ma in tutto il mondo.
C’è chi sostiene che il vuoto lasciato dai grandi boss, dai capi mandamento in carcere, abbia generato un caos incontrollato, una sorta di “far west” urbano dove bande di giovani criminali senza una vera leadership si contendono, a colpi di intimidazioni, furti e spaccio, il controllo del territorio. E allora ci si chiede: è questa la Palermo post-mafia? Un territorio lasciato in balia di una delinquenza slegata, impazzita, che non risponde a logiche organizzate ma solo alla violenza e al guadagno immediato?
Oppure siamo di fronte a qualcosa di più pericoloso, e forse più difficile da riconoscere: una riorganizzazione silenziosa, capillare, della manovalanza mafiosa? Le spaccate di vetrine ormai quotidiane, le esplosioni notturne di locali come la gelateria o il furgoncino dello street food all’Arenella, i furti ripetuti nei piccoli negozi per poche decine di euro, sembrano avere un messaggio più che un bottino. Sembrano segnali inequivocabili, intimidazioni. Atti che mirano a risvegliare il terrore e a riaffermare un controllo sul territorio che forse non è mai davvero venuto meno.
Quel che più allarma, però, è il silenzio. Il silenzio delle istituzioni, delle amministrazioni, di chi dovrebbe garantire sicurezza e invece sembra incapace persino di commentare. Nessuna strategia chiara, nessun piano d’emergenza. Finora solo sporadiche dichiarazioni di circostanza, mentre la città si scopre ogni giorno più vulnerabile. Alcuni cittadini arrivano persino a chiedere l’intervento dell’esercito: un’esagerazione? Forse. Ma è il sintomo evidente di una sfiducia profonda verso le risposte dello Stato.
Intanto, gli episodi di violenza nel centro storico, i turisti aggrediti, i commercianti messi in ginocchio, stanno minando le fondamenta dell’economia cittadina. Palermo vive – o meglio, cerca di vivere – di turismo e di commercio. E guarda caso, sono proprio questi due settori a essere colpiti. Non sembra un caso ma piuttosto una strategia “mafiosa”. La domanda a questo punto non è più se ci sia una regia dietro questi atti, ma chi tiene in mano il copione.
La mafia dei colletti bianchi continua ad agire in silenzio, infiltrandosi negli appalti e nelle istituzioni. Ma quella più visibile, quella di strada, non sembra affatto sparita. Palermo, ancora una volta, si trova a combattere senza sapere bene contro chi.
Servono interventi decisi, prese di posizione nette. Serve la consapevolezza che quello che abbiamo davanti non è un nemico disorganizzato e sporadico. Troppi fatti in sequenza, troppi episodi criminali in serie, troppa impertinenza verso forze dell’ordine e istituzioni, e troppa sicurezza di farla franca. Mafia o non mafia, clan organizzati o cani sciolti, serve comunque una “sveglia”, perché Palermo non è più una città sicura, massacrata giorno per giorno da attentati, aggressioni, furti e violenze. E questo è un dato di fatto e non una semplice opinione.