Non ha ancora un volto l’assassino di Kitim Ceesay, il ragazzo gambiano di 24 anni ucciso a Porta Sant’Agata a Palermo. Un omicidio in sordina, così come abbiamo scritto ieri, perché del suo caso non si è parlato se non a morte avvenuta. E nessuno, nemmeno tra i componenti della comunità gambiana, sa dare una versione esatta di come si siano svolti i fatti.
Ciò che appare certo è che Kitim è arrivato al pronto soccorso dell’ospedale Civico di Palermo con una ferita da punta in regione toracica che ha determinato il pneumotorace. All’arrivo al pronto soccorso, il 5 marzo scorso, il 25enne non ha dato spiegazioni né ai sanitari né alla polizia. Poi il trasferimento al Policlinico dove è stato operato e l’aggravamento.
Kitim è morto di setticemia e con una grave insufficienza renale, anche a causa delle sue condizioni di immunodepressione. È morto 16 giorni dopo il ricovero nel reparto di malattie infettive del Policlinico, dove il 25enne era seguito a causa dell’Hiv.
Adesso la Procura sta indagando. Intanto ieri si è svolta a Palermo una manifestazione organizzata da diverse associazioni e dalla comunità gambiana. Durante il corteo, cartelli e cori contro il razzismo. Una domanda sporge spontanea: perché si grida al razzismo se non si conosce il colpevole? Kitim ha tenuto un atteggiamento oppositivo durante tutta la degenza. Perché? Cosa temeva e chi temeva?
No Justice no peace hanno gridato per tutta la manifestazione i giovani gambiani. Ma se davvero si vuole giustizia per Kitim, forse è il caso che qualcuno parli.