L’Italia è ancora scossa dagli ennesimi femminicidi — come quello di Sara Campanella, uccisa a 22 anni a Messina da un ragazzo che non accettava il rifiuto, e Ilaria Sula, ritrovata morta in una valigia alle porte di Roma — e le parole di una giovane studentessa palermitana, racchiuse in una lettera inviata al Quotidiano di Palermo, arrivano come un pugno allo stomaco, ma anche come una sveglia.
Siria Velardi frequenta il quarto anno di Estetica all’Istituto Infaop di Borgo Nuovo, a Palermo, e ha deciso di scrivere una lettera che non è il classico tema scolastico, ma un vero e proprio manifesto. Un grido che pretende ascolto, rispetto, consapevolezza.
Riportiamo integralmente la lettera di Siria Velardi
Ho voluto fare da portavoce per me, e per tutte le donne, così ho deciso di scrivere questo messaggio. Un invito alla riflessione per tutti, ma in particolare per gli uomini, per farvi entrare per qualche minuto nel nostro mondo.
Vorrei che per un momento provaste come ci sentiamo ogni volta che si parla di femminicidio. Che sentiate la sensazione dello stomaco che si contorce quando l’ennesima donna viene uccisa da un uomo. La sensazione che viene accompagnata dalla consapevolezza della fortuna che abbiamo avuto. Perché la vittima poteva essere mia nonna, mia mamma, mia sorella, la mia migliore amica. Potevo essere io.
Vorrei che capiste com’è crescere rinnegando la propria voce, dimenticandola, e spesso perdendola per sempre. Come quando alle elementari il bimbo a cui piacevi ti tirava i capelli, alzava la gonna. “Dai non ti arrabbiare, fa così perché gli piaci”, ci veniva detto.
Oppure come quando alle medie inizi a sentire i primi commenti sul tuo corpo e su quello delle tue amiche. “I ragazzi sono meno maturi di voi, stanno solo scherzando”, e allora stavamo zitte.
Vorrei che capiste com’è stato realizzare che, dopo l’adolescenza, molti ci avrebbero visto solo in un modo; come un corpo, un oggetto. Crescendo le parole, i commenti inappropriati, diventano azioni ripetute ogni giorno. Come le palpate in discoteca, “guarda che non ce l’hai d’oro” ti dicono se provi anche solo per un momento ad arrabbiarti. Come quando un “no” diventa un sì, se usano la forza. Come quando gli uomini approfittano della propria posizione “di comando” per ricattare le donne a fare ciò che vogliono.
Vorrei che capiste come ci fa sentire ascoltare i vostri commenti su altre ragazze. Come ci fa sentire quando vi confrontate sui gruppi telegram a cui siete iscritti, o quando mostrate le foto nella vostra galleria, quelle che tenete nascoste.
Vorrei che capiste perché molte ragazze si rifugiano nella finzione. Ma quando si cresce sognando l’amore dei film, guardando il mondo in cui ci troviamo, è inevitabile volersi rifugiare in uno finto.
Vorrei che capiste la sensazione di inadeguatezza che proviamo ogni giorno. Perché dobbiamo essere perfette nonostante tutto, perché il nostro aspetto sarà sempre più importante di ciò che abbiamo dentro.
Vorrei che capiste come questa è una paura di tutte noi. La paura di non poter mai parlare delle nostre idee, dei nostri pensieri, perché conta solo il nostro corpo. Come quando la ragazza che fa sentire la propria voce e spiega ciò che le va o non va bene, viene derisa, “stai zitta donna” “torna in cucina” “guarda te questa femminista”, loro scherzano. Eppure perché noi non ridiamo?
Vorrei che capiste perché molte ragazze hanno così paura dell’amore. E di come non potremmo mai essere sicure che il ragazzo che ci piace, non voglia solo il nostro corpo, o che magari dopo un po’ di tempo si trasformi, e inizi ad essere violento.
Vorrei che capiste tutte le storie che non diciamo, tutte le violenze subite che hanno lasciato per sempre un segno indelebile dentro di noi. Perché sì “non tutti gli uomini”, ma vi assicuro, tutte le donne.
Vorrei che capiste la paura di camminare da sole per strada. Quando inizi a sentire passi pesanti dietro di te, ti senti seguita, il battito del cuore accelera, e ti chiedi se tu sarai la prossima. Perché ormai metà delle ragazze ha uno spray al peperoncino in ogni borsa.
Vorrei che capiste come ci si sente a non avere una voce. Perché anche in giorni dove il dolore per Sara è così grande, sentiamo battute e persone che scherzano. “Attenta che finisci come Sara” è stato detto ad una mia amica. Proviamo a parlare, ad esprimere il nostro dolore, a far fuoriuscire la rabbia repressa. Veniamo derise, zittite, senza nemmeno essere ascoltate.
Vorrei che capiste come tutto ciò che ho scritto non è che una minima parte della vita di ogni donna. E come ci sentiamo quando, nonostante tutto, viene sminuito il problema. Vorrei che capiste come, tutti insieme, potremo cambiare le sorti delle donne per le generazioni a venire. Vorrei che capiste che non c’è bisogno di dire “io non sono così, loro sono dei mostri, io non lo farei mai”. Vorrei che capiste come ciò che chiediamo non è la guerra. Ma la pace”.
La voce di Siria merita di essere ascoltata e condivisa. Perché è la voce di un’intera generazione di piccole donne che rifiuta la paura e reclama rispetto. Le sue parole raccontano un disagio, verità scomode che si tende a nascondere. E che invece meriterebbero una profonda e concreta attenzione.