Palermo Fc, Dario Mirri è tornato ad essere Dario Mirri

Mirri ha privilegiato la ragion di Stato anche a costo di pagare quel dazio d’immagine decisamente pesante per un imprenditore che opera nel settore della comunicazione in una città come Palermo

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mirri palermo

C’è stato un giorno, non troppo lontano, in cui Dario Mirri è tornato ad essere Dario Mirri. Sereno e non più frenetico, propositivo e non più conservatore, attaccante e non più difensore. Per convenzione potremmo identificare quel giorno con l’inizio dell’ultima campagna acquisti del Palermo, diversa per forma e sostanza dalla prima effettuata sotto l’ala protettrice del City Group. L’anno scorso, per spirito d’appartenenza, educazione e riconoscenza, ha attirato su di sé il malcontento per investimenti troppo risicati e valutazioni tecniche al limite del condivisibile, proteggendo con coraggio la nuova proprietà.

Mirri ha privilegiato la ragion di Stato anche a costo di pagare quel dazio d’immagine decisamente pesante per un imprenditore che opera nel settore della comunicazione in una città come Palermo, stitica d’investimenti per ignoranza e mancanza di risorse. È stato coraggioso e di questo bisogna dargliene atto già da oggi (e ancora meglio sarebbe stato da ieri) quando l’esito del campionato non è ancora definito e rappresenta quel famoso rischio d’impresa che talvolta condiziona il giudizio sui manager. Nel calcio – e non solo in questo contesto – sarebbe troppo semplice emettere sentenza guardando la classifica finale. Mirri lo scorso anno non ha difeso se stesso, ma l’idea (la parola progetto ormai è banalizzata) di un Palermo diverso dalle regole ai più conosciute. Traduzione: lo scorso anno, con una struttura tecnica di partenza da ridisegnare in ogni dettaglio, sarebbe stato necessario un investimento sproporzionato per provare a fare il doppio salto. Meglio, per così dire, una razionale costruzione dal basso.

Un ragionamento simile a quello del primo anno di serie C, ma con una sostanziale differenza: allora era evidente un problema relativo alle risorse finanziarie da mettere in campo, la scorsa stagione fu una scelta e non una necessità. E ancor di più va sottolineato il comportamento generoso e cameratesco di Mirri che avrebbe potuto defilarsi, in termini di responsabilità, e non l’ha fatto.

Mirri torna a essere Mirri nel momento in cui ha la consapevolezza di potere dare con serenità il suo contributo alla crescita di una società che, proiettata in una realtà complessa come la nostra, deve ridurre al minimo il margine di errore. Nel frattempo si è concentrato sull’essenziale: aziende di famiglia e Palermo, rinunciando (almeno per il momento…) a fare l’editore. Adesso garantisce conoscenza del contesto, il suo patrimonio di relazioni con le Istituzioni e con il mondo delle imprese. E sa pesare quel variegato mondo che gira attorno a una squadra di calcio, dalla stampa ai tifosi, sino a quel mix micidiale generato via social: la stampa/tifosa.

Personalmente mi sanguina il cuore ammetterlo, ma oggi che i giornali sono vintage e l’autorevolezza è un optional, l’opinione pubblica è molto condizionata dalle minchiate elargite a profusione da chi, con zero scrupoli e sottozero esperienza, pontifica con la stessa lucidità del vecchio bar dello sport. E poco conta se un tesserino da giornalista l’hai oppure no, l’importante è stare nel circuito come tante e tanti (così evitiamo il fraintendimento di genere) chiareferragni in versione rosanero. In questo campo conta eccome l’esperienza di Mirri e del suo staff, sono capitale prezioso la sua pazienza e la capacità di arginare l’onda anomala che può sempre capitare, perché la logica del calcio è l’imperfezione. Conta la forza del suo sorriso, sornione quanto sincero, un tempo simbolo dello sbeffeggiamento (sorrisini, come era inteso dai suoi detrattori), oggi arma di seduzione perché alla fine la missione può dirsi compiuta, a prescindere dalla serie A. Il Palermo è in mani saldi e il futuro non preoccupa più. Mirri ha preso il Palermo mettendo denaro dalla sua tasca ed evitandoci altre operazioni a cui l’ultimo Zamparini ci aveva abituati, ha pagato un botto e oltre misura l’iscrizione alla serie D, ha parato l’effetto devastante del covid – per una società neonata e nelle serie minori togliere dal bilancio i ricavi dello stadio sarà stato un bagno di sangue – con una sana e robusta mediazione della fortuna ha portato il Palermo in B. E, cosa non da poco, non si è arroccato in controproducenti posizioni di principio quando Baldini ha provato a fare saltare il banco. Non è santo, calcisticamente parlando, ma sarebbe ingiusto attribuirgli come peccato mortale il limite di una parsimonia che confina con la saggezza. Ha sbagliato alcune scelte, talune si sono rivelate inconsistenti (vedi Boscaglia e la campagna acquisti di quella estate), ma il calcio talvolta è come l’anguria: se non puoi avere le migliori, spacchi e vedi com’è fin quando non trovi quella dolce. Un giudizio corretto deve essere espresso nel momento storico preciso: prima si chiamerebbe pregiudizio, paraculismo quello a posteriori. Mirri ha saputo trasformare ciò che sembrava un mezzo fallimento – e che anche chi scrive lo fece rilevare – nel più insperato regalo che una città economicamente mortificata come Palermo potesse ricevere. Bisogna dargliene atto, senza remore.

Oggi che lo scenario è diverso, sta dimostrando una maturità da far invidia, per esempio resistendo alle lusinghe della politica e a fare il Renzo Barbera a tutti i costi. Non è necessario il populismo della prima maniera, non deve più convincere nessuno di essere degno dell’eredità familiare. Anche perché, se le cose andranno come devono andare, la storia saprà ricompensarlo mettendolo su un gradino almeno pari – se non superiore – a quello dell’indimenticabile zio.