Basta un temporale, neanche troppo lungo o violento, e Palermo va in tilt. È il paradosso di una città che si scopre ogni volta fragile, incapace di reggere un acquazzone che altrove sarebbe normale routine meteorologica. Dopo pochi minuti di pioggia battente, le strade si trasformano in fiumi, i sottopassi in trappole, i quartieri in lagune. Non è la forza della natura a piegare Palermo, ma la sua cronica incapacità di affrontare problemi prevedibili e sempre uguali.
Le zone a rischio sono sempre le stesse, come in un copione che si ripete da anni: via Imera, corso Re Ruggero, via Messina Marine, via Lanza di Scalea (qui proprio stamattina tre auto sono rimaste impantanate all’altezza del quartiere Zen), Mondello. L’acqua non defluisce, resta lì, stagnante, costringendo cittadini e vigili del fuoco a convivere con disagi che dovrebbero essere ormai solo un ricordo in una città civile. E invece no: centinaia di interventi in due soli giorni, scantinati invasi, auto bloccate, negozi e abitazioni sott’acqua. E traffico impazzito. Palermo sembra una città impreparata al clima mediterraneo, come se la pioggia fosse straordinaria e imprevedibile.
Dopo ogni alluvione, piccola o grande che sia, si susseguono le stesse polemiche e gli stesdi articoli giornalistici, con immagini sovrapponibili di zone e allagamenti sempre uguali.

Ci si affida però sempre e solo alla buona volontà dei vigili del fuoco e alla pazienza dei cittadini. Ma è lapalissiano serve un piano urgente per contrastare e adeguarsi ai cambiamenti climatici.
Palermo paga decenni di incuria, di amministrazioni che hanno preferito guardare altrove, di scelte rimandate. Ogni volta che cade pioggia abbondante, la città si ferma, dimostrando di non avere alcun piano strutturale contro un fenomeno che, nei fatti, è diventato la normalità. Quanto ancora dovrà passare prima che Palermo smetta di essere ostaggio di ogni temporale?