giovedì, 18 Settembre 2025
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Il figlio del boss racconta la sua visione della mafia e del padre a Lo Sperone Podcast

Salvatore Riina jr: «Mio padre non ordinò l’omicidio di Giuseppe Di Matteo. Falcone dava fastidio ad altri, non a lui»

«Mio padre non ha mai ordinato l’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo. Giovanni Falcone, quando l’hanno ammazzato, non dava più fastidio alla mafia o a Totò Riina, ma ad altri dietro le quinte. L’antimafia è un carrozzone composto da gente che ha bisogno di stare sotto i riflettori e a dimostrarlo sono i casi della giudice Silvana Saguto e dell’imprenditore Antonello Montante, finti e antimafiosi di facciata».

Parole di Giuseppe Salvatore Riina, figlio del boss Totò Riina, intervistato a dagli speaker Gioacchino Gargano e Luca Ferrito, che ha detto la sua su questi temi, ma anche su femminicidi e spaccio di crack a Palermo a “Lo Sperone Podcast”, disponibile su YouTube: https://www.youtube.com/watch?v=M-_6kuwXKZ4

Nel corso dell’intervista Giuseppe Salvatore Riina ha voluto parlare in qualità di scrittore, ma anche di «testimone e storico» della storia del padre Totò Riina, che nel programma definisce come «una persona che ha sempre combattuto il sistema. Un uomo serio e onesto. Non l’ho mai visto compiere un atto di violenza o tornare a casa con una pistola in mano e sporco di sangue. È stato arrestato perché dava fastidio, così come a un certo punto hanno dato fastidio Bernardo Provenzano e Matteo Messina Denaro, perché erano malati e non servivano più in quello stato a quelli che detenevano veramente il denaro della mafia».

Parlando di sé stesso, Giuseppe Salvatore Riina si paragona ai bambini che vivono a Gaza «Perché come i piccoli palestinesi, da bambino ho vissuto sempre cose fossi in perenne emergenza. Anche se, quando dovevamo scappare da un rifugio all’altro con papà, per me era come una festa perché conoscevo posti nuovi e gente nuova. D’altra parte non mi è stato mai proibito di uscire di casa. Sono pure nato nella clinica Noto, la più famosa di Palermo, col nome e cognome di mio padre. E tutti lo sapevano».

Parlando dei magistrati e dell’antimafia, Giuseppe Salvatore Riina sostiene: «Mi chiedono continuamente dove si trova il tesoro di mio padre. Io so solo che lo hanno arrestato quando avevo 14 anni e non parlava con me di queste cose. Quando l’hanno preso ero in sala giochi con mio fratello. Negli anni hanno fatto tanti sequestri a mio padre. Se chiedete all’intelligenza artificiale, sommerà almeno un miliardo di euro. Ma io non ne so nulla ed è inutile che me lo continuino a chiedere».

Nella stessa sala giochi Giuseppe Salvatore Riina si trovava il 23 maggio 1992, «dove ho saputo della morte di Giovanni Falcone. I pentiti raccontano che lo ha fatto ammazzare mio padre per vendetta. Ma così dicono loro. C’era altra gente dietro. E ad ammazzare Giovanni Falcone, così come il piccolo Giuseppe di Matteo, in pratica è stato solo Giovanni Brusca, che poi è diventato pentito. Non mio padre Totò Riina».

E ancora: «Giovanni Falcone e Paolo Borsellino erano due magistrati che sapevano cosa volevano e volevano lavorare. Nessuno dopo Falcone ha più utilizzato il suo metodo di indagine basato sul “seguire i soldi”», E il futuro? Giuseppe Salvatore Riina ha anticipato che presto uscirà un suo secondo libro, dove racconterà il suo punto di vista sugli ultimi anni del mondo della mafia e dell’antimafia.

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