Nonostante una condanna definitiva a 15 anni di reclusione per un omicidio efferato, Giovanni Battista Romano non sarà sottoposto alla sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno nel comune di residenza. Lo ha deciso il Tribunale di Palermo che ha rigettato la proposta avanzata dal Questore, motivando il provvedimento con l’assenza di indizi di pericolosità sociale attuale e qualificata.
Il Collegio, presieduto dalla dott.ssa Ettorina Contino e composto dalle giudici Erika Di Carlo (relatrice ed estensore) e Valentina Amenta, ha emesso il decreto dopo un’attenta analisi delle risultanze processuali e dei criteri previsti dal Codice antimafia (d.lgs. 159/2011) per l’applicazione di misure di prevenzione personali.
Il Questore di Palermo aveva chiesto, con istanza del 21 novembre 2023, l’applicazione della misura per la durata di quattro anni, sostenendo che Romano rientrasse tra i soggetti pericolosi per la sicurezza pubblica, in particolare per il suo presunto coinvolgimento in contesti mafiosi. La difesa, rappresentata dall’avv. Giovanni Castronovo (sostituito all’udienza dall’avv. Maria Lo Verde), si era invece opposta, chiedendo il rigetto della proposta.
Al centro della vicenda giudiziaria, l’omicidio di Emanuele Burgio, avvenuto nella notte tra il 30 e il 31 maggio 2021 nel quartiere della Vucciria. Secondo le ricostruzioni, Giovanni Battista Romano avrebbe fornito la pistola allo zio Matteo Romano pochi attimi prima che quest’ultimo aprisse il fuoco su Burgio, uccidendolo in strada sotto gli occhi di testimoni. L’omicidio, inizialmente ipotizzato come espressione di metodo mafioso, è stato successivamente derubricato: né la premeditazione né l’aggravante dell’art. 416 bis.1 c.p. sono state ritenute sussistenti. Le sentenze di primo e secondo grado, confermate in via definitiva, hanno escluso la matrice mafiosa, parlando di un gesto violento e impulsivo, scaturito da una lite e privo di connotazioni associative.
Il Tribunale ha ribadito che il procedimento di prevenzione è autonomo rispetto a quello penale, ma ha sottolineato che non emergono elementi concreti per sostenere che l’omicidio sia stato commesso per agevolare un’associazione mafiosa o con modalità riconducibili a Cosa Nostra. Le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Alessio Puccio, secondo cui Romano Domenico (padre dell’imputato) avrebbe chiesto “protezione” alla famiglia mafiosa del Borgo Vecchio dopo i fatti, sono state ritenute non significative in tal senso. Anzi, secondo i giudici, quelle affermazioni dimostrerebbero semmai un tentativo di protezione “postumo”, privo di rilevanza rispetto alla qualificazione mafiosa dell’azione omicidiaria.
Sul piano della pericolosità generica, i magistrati hanno osservato che Romano, oltre all’episodio del 2021, ha un solo precedente per guida in stato di ebbrezza risalente al 2015 e un carico pendente per resistenza a pubblico ufficiale del 2020. Insufficienti, secondo il Tribunale, per configurare un “habitual delinquente” o una minaccia attuale alla sicurezza pubblica. «Difetta il requisito della dedizione alla commissione di reati pericolosi per la salute, sicurezza e tranquillità pubblica», si legge nel decreto.
Per queste ragioni, il Tribunale ha concluso per il rigetto della proposta, escludendo l’applicazione della sorveglianza speciale e dell’obbligo di soggiorno. Resta comunque confermata la gravità del reato per il quale Romano è stato condannato, ma, come precisano i giudici, “la prevenzione non può trasformarsi in un’ulteriore forma di sanzione per fatti già giudicati, né prescindere dal rispetto dei requisiti normativi stringenti previsti dalla legge”.