sabato, 26 Luglio 2025
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La spiegazione in un reel di Palermo Rewind

Capo Gallo, un cancello a due passi dal mare: ma perché si paga?

Un cancello in ferro divide Mondello dal mare cristallino, le rocce bianche e il silenzio del promontorio. È la riserva di Capo Gallo, l’estrema punta occidentale del Golfo di Mondello, uno degli scorci più suggestivi e selvaggi di Palermo. Ma dietro quel cancello non c’è solo un paesaggio mozzafiato: c’è una storia lunga oltre ottant’anni, fatta di acquisti, scelte urbanistiche, battaglie legali e un’idea quasi romantica di tutela privata.

A ricostruire le vicende che hanno portato all’attuale gestione di Capo Gallo è Palermo Rewind, pagina social che in un recente reel ha raccontato con chiarezza l’origine di quel cancello che da decenni suscita domande e polemiche. Perché si paga per entrare? Chi sono i “signori del cancello“? E com’è possibile che un angolo di riserva naturale sia anche proprietà privata?

Tutto ha inizio nel 1942, quando il capostipite della famiglia Vassallo acquista dal barone Ramione un terreno che in molti allora definivano “dimenticato da Dio”: 90 ettari a cavallo tra la montagna e il mare, un luogo selvaggio e impervio, attraversato da un sentiero tracciato alla fine dell’Ottocento per raggiungere il faro.

A metà del percorso, incastonata nella roccia, si trova una vecchia cava abbandonata. Fu da lì che si estrasse la pietra per la costruzione del porto di Palermo. E sempre lì, fino agli anni Settanta, esisteva anche una pista di go-kart, oggi dimenticata ma ancora presente nella memoria di chi la frequentava da ragazzo.

Durante il boom edilizio degli anni Sessanta, quando Mondello e l’Addaura venivano aggredite dal cemento, Capo Gallo restò un caso a parte. I Vassallo consentirono la costruzione di pochissimi villini, poi dissero basta. Nessuna lottizzazione, nessuna corsa alla speculazione. Una scelta che, con il senno di poi, si è rivelata lungimirante. L’area rimase intatta, selvaggia, protetta. E lo fu ben prima che nel 2001 diventasse ufficialmente riserva naturale orientata.

Ma quella terra non è mai stata completamente pubblica. E negli anni le cause legali per espropriarla o modificarne il regime di proprietà sono state numerose. Tutte perse da chi voleva cambiare lo status quo. Capo Gallo, infatti, è rimasto un feudo inaccessibile a chi cercava di snaturarlo, ma non ai visitatori: non chiuso, ma custodito.

E qui sta la chiave per comprendere il famoso “cancello”. Non un simbolo di esclusione, almeno secondo la visione dei proprietari, ma una barriera posta a tutela. L’ingresso a pagamento, per quanto discusso, serve – secondo quanto sostenuto – a garantire pulizia, sicurezza, manutenzione e controllo del flusso turistico in una zona che resta delicatissima dal punto di vista ambientale.

Oggi, Capo Gallo è uno degli ultimi lembi di natura intatta della costa palermitana. La sua bellezza ruvida, la luce che si rifrange sulle rocce e la sensazione di camminare fuori dal tempo continuano ad attrarre centinaia di visitatori ogni estate. Eppure, quel cancello continua a dividere le opinioni. C’è chi lo vive come un privilegio elitario, chi come una necessaria barriera ecologica. Di certo, dietro quei ferri battuti c’è una storia lunga, complicata e affascinante. E una domanda che continua a far discutere Palermo: è più giusto difendere la natura con regole severe o aprirla a tutti, a rischio di perderla?

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