“Ti amiamo, Dio, e amiamo il nostro grande esercito”: una frase durissima, pronunciata da alcuni leader mondiali in difesa delle guerre “preventive”, è diventata il simbolo della denuncia profetica dell’Arcivescovo di Palermo, Monsignor Corrado Lorefice, che al termine della processione del Corpus Domini ha rivolto un appello accorato per la pace, chiedendo la conversione dei “cuori pietrificati” e delle “intelligenze atrofizzate” dei potenti della Terra.
Il Corpus Domini, festa eucaristica tra le più solenni del calendario cristiano, ha assunto ieri a Palermo – come in molte altre città del mondo – un significato ancora più profondo e urgente. Mentre il Sacramento veniva portato in processione tra le strade della città, segno tangibile di una fede che si fa presenza viva nel mondo, la voce dell’Arcivescovo si è levata come un grido contro l’assurdità della guerra, in particolare contro l’attacco all’Iran e il prolungarsi del conflitto in Medio Oriente e in Europa orientale.
Lorefice ha richiamato le parole di Gesù sulla croce – «Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno» – per invocare la fine delle stragi e l’apertura di una vera tregua, capace di condurre a una pace duratura. “Non possiamo più permettere – ha detto – che si pronunci il nome di Dio per giustificare massacri. È bestemmia pura”.
Il riferimento è diretto e doloroso: Gaza, Ucraina, Congo. Bambini uccisi, vite spezzate, innocenti sacrificati in nome di equilibri geopolitici che sfuggono all’umano. Ma l’Arcivescovo invita a guardare oltre la logica della vendetta e della forza. Invita a guardare all’Eucaristia, “capace di plasmare la vita dell’uomo”, come scriveva il cardinale Carlo Maria Martini, e a lasciarsi attraversare dalla sua logica di dono e di unità.
Citazioni forti, come quelle di Don Giuseppe Dossetti – “Sembrava la vittoria della Bestia, ma era la vittoria dell’Agnello” – sono risuonate come monito e speranza. Non retorica, ma coscienza viva di una fede che si fa azione, impegno, responsabilità.
“Dona al mondo, Signore, la tua pace”, ha concluso Monsignor Lorefice. Un’invocazione che non può restare confinata nei gesti liturgici, ma che chiede di diventare carne nei cuori, nei progetti politici, nelle scelte concrete di ciascuno.