Una condanna che segna la fine definitiva di una stagione imprenditoriale che per decenni aveva fatto storia a Palermo. Il giudice Paolo Magro del Tribunale di Palermo ha condannato, con rito abbreviato, Giovanni Carlo Migliore, Beppe Migliore e Mario Migliore a due anni e otto mesi di reclusione ciascuno per bancarotta fraudolenta.
I tre imprenditori, volti noti di una dinastia commerciale che aveva dato vita a una rete di ipermercati e megastore con il marchio “Grande Migliore”, sono stati ritenuti colpevoli di distrazione di somme di denaro dalle casse aziendali e di una sopravalutazione dolosa di un parcheggio in costruzione che sarebbe dovuto essere affidato in house. Per le altre contestazioni, i tre sono stati assolti.
Oltre alla pena detentiva, il giudice ha disposto anche l’interdizione decennale all’esercizio di attività d’impresa e all’assunzione di cariche direttive. La Procura aveva chiesto una condanna più pesante, pari a cinque anni di reclusione.
Il fallimento della holding Migliore è avvenuto nel 2011. Molti lavoratori si sono costituiti parte civile nel processo, ma le richieste di risarcimento sono state rigettate. Una sentenza che, per quanto severa, lascia dunque un senso d’incompiuto per chi ha vissuto sulla propria pelle le conseguenze del tracollo.
L’impero dei Migliore: una storia palermitana
Per i palermitani, il nome Migliore è stato a lungo sinonimo di innovazione e modernità. Il primo grande punto vendita, aperto negli anni sessanta in via Generale Di Maria, fu considerato una rivoluzione: il primo “cash and carry” in città, un modello di vendita allora sconosciuto. Nel tempo arrivarono anche i reparti specializzati in elettrodomestici, giardinaggio, illuminazione, cucine, bagni, giocattoli e persino liste nozze. Un universo commerciale che sembrava destinato a non tramontare mai.
E invece, tra errori di gestione, crisi economica e, come dimostra oggi la sentenza, operazioni opache, il colosso è crollato. Il personale finì in cassa integrazione, poi arrivò il fallimento. Oggi, quella parabola discendente trova il suo epilogo giudiziario.