Ma ve li ricordate i paninari? Se li avete ancora in mente siete proprio Sapiens, che nello slang paninaro era una specie di Boomer dei giorni nostri. Ma per chi non li ha mai sentiti nominare facciamo subito un rewind. Questa moda anni ’80 dicono sia partita da un fast food di Milano. Un locale molto figo, frequentato da gente In (chi piccioli in parole povere). Ragazzi di buona famiglia che ad un certo punto, con il loro slang e con i loro abiti firmati, hanno fatto moda.
Una tendenza che in poco tempo, anche in assenza di social e di internet, si è diffusa in tutto lo stivale, perfino nel sud dove ricchezza e benessere non erano di casa. Look curatissimo e riconoscibile, a volte perfino lasciando le etichette sui vestiti per certificare l’autenticità dei capi. Uno stile di vita legato al consumismo e alla passione per i marchi di lusso. Un giovane paninaro, un gallo con i suoi abiti firmati, il suo immancabile ciclomotore Ciao, i capelli a spazzola impastati di gel, con il grano (i soldi) nel portafogli Invicta, cuccava quasi sicuramente le sfitinzie. Era very original. Il resto, i non appartenenti a quella cerchia, era considerato dalle parti di Roma un po’ tamarro, al nord barbun, a Palermo tascio.
Abiti indossati dai paninari
- Giubbotti Moncler: Preferibilmente colorati e imbottiti, erano il simbolo per eccellenza dello status sociale;
- Jeans Levi’s 501: Indossati rigorosamente con risvolto;
- Maglioni Best Company: Spesso decorati con scritte e grafiche vistose;
- Scarpe Timberland e Camperos: A seconda della stagione, completavano il look;
- Zaini Invicta e occhiali Ray-Ban: Accessori indispensabili per mostrare appartenenza al gruppo;
- Accessori e abbigliamento Naj-Oleari: gettonatissimi le borse e i cerchietti. Ma la fabbrica di Biella produceva anche maglie, giubbotti e altri accessori;
- Le calze rigorosamente a rombi.
La bibita da sballo dei Paninari, neanche a dirlo, era la Coca Cola, da sparare direttamente dalla lattina nel gargarozzo.
La musica
Anche la musica per i paninari era significativa. La loro predilezione andava verso la musica disco e i primi successi synth-pop. Tra gli artisti e gruppi amati spiccavano i Duran Duran, i Depeche Mode e gli Spandau Ballet. Non mancavano i riferimenti alla musica italiana, con artisti come gli 883 che più tardi avrebbero immortalato lo spirito di quel decennio. Per far comprendere meglio l’atteggiamento snob dei Paninari, basti pensare che la musica di Eros Ramazzotti per diverso tempo venne definita un floppy (da flop disc, antenato del cd-rom), poiché considerata per poveracci, per via delle origini non borghesi del cantante.
A contribuire allo sviluppo di mode e slang paninari, la tv, con le serie, i programmi musicali e la pubblicità, i primitivi computer commodore, e le sale gioco. Presero campo parole tipo basic (scarso) o ram (dimenticabile), arrapation, libidine, termine usato continuamente dall’attore Jerry Calà, che interpretava spesso nei film ruoli da ragazzo di quei tempi.
I falsi paninari
Soprattutto al sud, in tanti provavano a scimmiottare i veri paninari ma con scarsi risultati per via delle scarse risorse finanziarie. Lo slang era il problema minore. Per le marche ai “non figli di papà” venne loro incontro il mercato concorrenziale che vendeva prodotti simili a quelli più gettonati a prezzi un attimino più accessibili: tipo Lumberjack, Timberjack, Uniform, Americanino e molte altre marche. I falsi paninari a Palermo erano comunque considerati sbrecsi, perché capaci ugualmente, anche con poco, di tenersi alla moda.
Nonostante il declino alla fine degli anni ’80, l’influenza dei Paninari è ancora visibile nella cultura contemporanea. Molti marchi di moda ripropongono capi ispirati a quegli anni, mentre il revival anni ’80 continua a evocare nostalgia e fascino. E anche certi termini sono rimasti nell’uso comune, anche di chi non è mai stato al 100% paninaro. Kiss.