C’è anche il cantante catanese Niko Pandetta tra gli indagati nell’inchiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo su un presunto traffico di droga e telefoni cellulari all’interno del carcere Pagliarelli di Palermo. Nipote dello storico boss mafioso Turi Cappello, Pandetta è attualmente detenuto nella casa circondariale di Rossano, in Calabria, dove sta scontando una pena per spaccio, rissa ed evasione.
Secondo quanto emerso dalle intercettazioni, il trapper avrebbe chiesto l’introduzione di telefoni in carcere, offrendo fino a mille euro per ogni dispositivo. “Mi ha detto ho dieci… otto… sette telefoni… mille euro mi dà il Pandetta”, afferma una delle guardie carcerarie finite sotto indagine. L’interlocutore, presumibilmente coinvolto nel giro di corruzione, replica: “Non ci fare niente, fagli buttare sangue”, lasciando intendere dissidi interni sul controllo del traffico illecito.
L’inchiesta, che si muove tra Palermo e altre strutture penitenziarie del Sud Italia, ha scoperchiato una rete in cui sarebbero coinvolti anche alcuni agenti penitenziari, accusati di aver chiuso un occhio in cambio di denaro. Uno di essi sarebbe già stato sospeso dal servizio.
A rendere ancora più esplosiva la vicenda, un episodio avvenuto nella notte tra l’1 e il 2 maggio, quando il trapper Baby Gang ha proiettato un video di Pandetta durante il suo concerto alla Plaia di Catania, evento seguito da migliaia di giovani. Il gesto ha sollevato numerose polemiche e ha portato a una perquisizione immediata nella cella di Pandetta: la polizia penitenziaria ha rinvenuto un telefono cellulare nascosto, confermando i sospetti su comunicazioni non autorizzate con l’esterno.
L’indagine, ancora in corso, si inserisce in un più ampio contesto di controllo e repressione dei traffici illeciti all’interno delle carceri italiane, in cui – come dimostrato dal caso Pandetta – si intrecciano spettacolo, criminalità e connivenze.