Era accusato di due episodi di tentato omicidio aggravato dal metodo mafioso e di porto e detenzione illegale di arma da fuoco. Per questi fatti il pubblico ministero Eugenio Faletra aveva chiesto la condanna a ventitré anni di reclusione. Ma la quarta sezione del Tribunale di Palermo, presieduta da Bruno Fasciana con giudice relatore Giangaspare Canerini, ha assolto Mirko Lo Jacono, ventinovenne dello Zen, con la formula “per non aver commesso il fatto”.
Le sparatorie allo Zen nel 2021
L’imputato era finito a processo per due distinti agguati avvenuti nel quartiere Zen nel 2021. Il primo episodio risale al 23 marzo di quell’anno, in via Patti, quando Giuseppe, Antonino e Fabrizio Colombo furono bersaglio di colpi d’arma da fuoco. Secondo l’accusa, Lo Jacono avrebbe agito in concorso con Pietro e Vincenzo Maranzano, Nicolò Cefali e un altro complice, Litrerio: tutti già giudicati con rito abbreviato e condannati in via definitiva.
Il secondo tentato omicidio, invece, sarebbe stato commesso il 20 novembre 2021 in via Rocky Marciano, sempre allo Zen, ai danni di Antonino e Giuseppe Colombo e di Maria Terzo. In questo caso Lo Jacono era accusato di aver agito insieme a una persona rimasta non identificata.
Assenza di riscontri
Il Pubblico Ministero aveva ricostruito i fatti come parte di una guerra interna tra gruppi criminali del quartiere, sostenendo che Lo Jacono avesse avuto un ruolo operativo nei due agguati. Ma la difesa, rappresentata dall’avvocato Giovanni Castronovo, ha demolito l’impianto accusatorio, puntando sull’inattendibilità delle persone offese e sull’assenza di riscontri oggettivi.
In particolare, Giuseppe Colombo e la sua compagna Valentina Chillemi avevano indicato come componenti del commando di fuoco anche Attanasio Fava e Giovanni Cefali. Ma le indagini successive avevano escluso la loro partecipazione nel tentato omicidio: Fava, infatti, aveva dimostrato di trovarsi nella sua macelleria a Ballarò nell’orario dell’agguato, mentre Giovanni Cefali era stato assolto dalla Corte d’Appello di Palermo dopo l’annullamento con rinvio disposto dalla Corte di Cassazione.
Secondo la difesa, anche per Lo Jacono le accuse si fondavano su elementi inconsistenti. Le intercettazioni telefoniche e ambientali, che avevano portato al suo arresto due anni dopo i coimputati, sono state definite “generiche e prive di riscontro”, meri indizi incapaci di dimostrare un coinvolgimento diretto nei fatti.
La sentenza
Dopo una lunga camera di consiglio, il Tribunale ha accolto integralmente la tesi difensiva, assolvendo Lo Jacono con formula piena. Le motivazioni della sentenza saranno depositate entro novanta giorni.
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