A volte bastano poche parole per accendere il dibattito politico. È quello che è successo in Sicilia, dove Giorgio Mulè, vicepresidente della Camera, ha lasciato intendere di non escludere una sua candidatura alla presidenza della Regione nel 2027. Non un annuncio ufficiale, certo, ma abbastanza per smuovere gli equilibri interni a Forza Italia e far emergere malumori rimasti finora sotto traccia.
Mulè, con il suo profilo nazionale e la sua storia di giornalista prestato alla politica, ha sottolineato una realtà che molti nel partito conoscono bene: in Sicilia da due anni non c’è una segreteria regionale e il confronto interno è praticamente assente. Una denuncia che suona come un atto d’accusa verso la gestione attuale.
La risposta di Renato Schifani non si è fatta attendere ed è stata tanto rapida quanto pungente: «Chiunque può candidarsi, basta raccogliere le firme. Auguri». Dietro la battuta, il governatore ha fatto capire di non gradire fughe in avanti né autocandidature. Una stilettata elegante, che però segna la distanza tra due visioni diverse.
Forza Italia in Sicilia vive una fase di incertezza. Da una parte c’è Schifani, che rappresenta continuità e controllo delle istituzioni, dall’altra Mulè, che incarna la voglia di rinnovamento e di rilancio. In mezzo c’è un partito che fatica a trovare una direzione, privo di una guida politica stabile e sempre più diviso tra fedeltà personali e ambizioni locali.
Il rischio è che la contesa non resti confinata a un botta e risposta tra due esponenti, ma diventi presto una vera e propria resa dei conti interna, capace di incrinare i fragili equilibri del centrodestra.
Sul fondo c’è anche la politica nazionale. Dopo la scomparsa di Berlusconi, Forza Italia cerca di ridisegnare il proprio ruolo. Antonio Tajani tiene la barra dritta a Roma, ma nei territori le spinte centrifughe aumentano. La Sicilia, laboratorio tradizionale del centrodestra, diventa così un campo di prova: la contesa tra Mulè e Schifani rischia di essere il primo banco di verifica delle nuove dinamiche interne.
Mulè può contare su relazioni forti con i vertici nazionali e sulla sua visibilità parlamentare. Schifani, invece, si muove da presidente in carica, forte del suo radicamento locale e della rete di amministratori che lo sostengono. Due piani diversi, destinati a incrociarsi.
Le elezioni sono ancora lontane, ma la macchina politica siciliana non conosce pause. Mulè, con il suo “non escludo nulla”, ha aperto un varco che altri potrebbero seguire. Schifani, invece, ha fatto capire che non intende cedere il passo e che le regole, comprese quelle delle firme, non lasciano spazio a scorciatoie.
Il duello, per ora, resta sotterraneo. Ma è evidente che la sfida non sarà solo per la presidenza della Regione: in gioco c’è la leadership di Forza Italia in Sicilia e, con essa, un pezzo importante degli equilibri del centrodestra nazionale.
Il botta e risposta tra Mulè e Schifani è il preludio di una stagione politica destinata a diventare incandescente. Per ora i toni restano contenuti, ma la sostanza è chiara: il centrodestra siciliano non ha ancora deciso chi guiderà la corsa al 2027. E tra sorrisi ironici e mezze aperture, la battaglia è appena cominciata.