C’è qualcosa di amaro nel successo formale della manovra-ter all’Ars: la maggioranza del presidente Schifani sembra meno una coalizione solida e più un equilibrio instabile, che rischia di cedere da un momento all’altro.
Ufficialmente, i numeri tengono. Ma dietro i banchi, la guerra è silenziosa, combattuta a colpi di voti segreti. Alcune misure considerate cruciali sono state affossate non dall’opposizione, ma da deputati della stessa maggioranza: un tradimento al buio, dietro le quinte del voto.
Il cuore del dissenso è rappresentato da Alessandro Dagnino, assessore all’Economia, percepito come troppo tecnico e meno radicato nel circuito politico dei partiti. Nonostante il suo ruolo nella guida della manovra, la sua figura è stata vista da alcuni come estranea al gioco politico interno.
Accanto a lui, è emersa l’incertezza attorno a Giovanna Volo, assessora alla Salute, già criticata per la gestione della sanità pubblica: ospedali in affanno, liste d’attesa infinite e riforme rimaste al palo l’hanno resa politicamente vulnerabile all’interno della coalizione.
A pesare sul clima già teso, anche le ombre dello scandalo che ha travolto il presidente dell’Ars Gaetano Galvagno e l’assessora al Turismo Elvira Amata. Un caso giudiziario che, al di là degli sviluppi processuali, ha minato la credibilità istituzionale e alimentato malumori interni, fornendo a frange della maggioranza un pretesto ulteriore per dissociarsi o colpire politicamente i vertici.
Sul piano tattico, il governo ha tentato di arginare le crepe con la “tagliola” sulla discussione in aula: un espediente per bloccare l’ostruzionismo e blindare il voto. Ma è evidente che il problema non è esterno: è interno. Deputati pronti a punire chi non è abbastanza “politico”, o a sfruttare ogni occasione per regolare conti personali, si muovono indisturbati nel perimetro della stessa maggioranza.
Il risultato finale? Formalmente, la manovra è passata. Ma la vittoria ha il sapore amaro di una coalizione che deve blindare ogni voto, temere ogni scrutinio segreto e convivere con il peso di scandali che ne erodono l’autorevolezza. Una maggioranza a orologeria, i cui ingranaggi scricchiolano pericolosamente e sembrano non tenere bene il tempo.