Gioia mia, opera d’esordio alla regia della palermitana Margherita Spampinato, è un film che parla di legami, di tempo e di crescita. Al centro del racconto, nelle sale italiane dall’11 dicembre, ci sono Gela, interpretata da una strepitosa Aurora Quattrocchi, e Nico (Marco Fiore), un bambino costretto a lasciare la sua quotidianità romana per trascorrere il periodo estivo in Sicilia.
Nico arriva nell’isola controvoglia. I genitori, troppo impegnati dal lavoro, non possono occuparsi di lui come vorrebbero. La babysitter che lo ha sempre seguito, una presenza stabile e rassicurante nella sua vita, sta per sposarsi e andrà a vivere a Parigi. Così la soluzione più semplice diventa anche la più lontana: affidarlo a Gela, sorella della nonna, una zia anziana che vive in Sicilia, in una casa dove il tempo sembra essersi fermato.
L’incontro tra Nico e Gela è inizialmente fatto di distanza e incomprensioni. Lui è abituato a una vita scandita dalla tecnologia, dai ritmi veloci, da una libertà sorvegliata ma continua. Lei vive seguendo regole precise, gesti ripetuti, abitudini antiche. Gela è severa, religiosa, poco incline alle spiegazioni. La casa in cui accoglie il nipote non è un luogo accogliente nel senso moderno del termine, ma uno spazio che chiede rispetto e adattamento. E senza Wifi.
Proprio da questo contrasto nasce il cuore del film. Giorno dopo giorno, Nico e Gela imparano a osservarsi, a riconoscersi, a fare spazio l’uno all’altra. Pochi colpi di scena, ma piccoli cambiamenti: sguardi che si ammorbidiscono e un silenzio che smette di essere vuoto.
Aurora Quattrocchi regge il film con una interpretazione intensa. La sua Gela non è mai caricaturale, non è la “vecchia burbera” da manuale. È una donna con una storia inaspettata alle spalle, che ha rigidità che nascondono ferite e una tenerezza che comunque emerge. L’attrice palermitana lavora sui dettagli, sui gesti, sugli sguardi, riuscendo a rendere il personaggio profondamente umano e credibile. La sua presenza dà spessore a ogni scena e rende naturale l’evoluzione del rapporto con Nico.
Il film sceglie uno stile semplice, senza forzature emotive. La regia osserva, accompagna, lascia spazio ai personaggi. I dialoghi sono essenziali, spesso sostituiti dai silenzi, che diventano parte del racconto. Anche quando la storia sfiora temi già noti, come lo scontro tra generazioni o la difficoltà dei genitori contemporanei a conciliare lavoro e famiglia, lo fa con delicatezza, senza giudizi netti.
Dopo il Premio Speciale della Giuria – Cine+ e il Pardo per la migliore interpretazione femminile ad Aurora Quattrocchi al 78° Festival di Locarno, la pellicola ha ottenuto recentemente anche la designazione di “Film della Critica” da parte del Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani e il riconoscimento che ha portato a Margherita Spampinato il Cinematografo Award per la miglior opera prima.



