Lo striscione appeso a un balcone di Monreale, durante i funerali di Massimo Pirozzo, Andrea Miceli e Salvatore Turdo, è un grido di dolore e rabbia ma dà spunti di riflessione: “Basta con Gomorra e Mare Fuori. Qui si muore davvero”. Parole che colpiscono, che accusano e che puntano il dito contro la cultura popolare contemporanea — le serie TV che mettono in scena la criminalità giovanile, la vita nel carcere minorile, l’epopea dei clan di mafia e camorra. Ma davvero basta questo a spiegare la violenza che esplode nei nostri ragazzi? Basta davvero cambiare canale per spegnere la violenza? O bisogna ricercare più a fondo i veri motivi di questo disagio?
Il capro espiatorio
È troppo facile — e forse troppo comodo — prendersela con le fiction. Gomorra, Mare Fuori e altre serie di questo tipo, raccontano un mondo violento, sì. Ma lo fanno spesso con una forte componente di denuncia, non certo di esaltazione. Il problema non è nella narrazione, ma nel modo in cui viene assorbita. Un giovane cresciuto in un contesto solido, con esempi positivi, con una scuola che funziona e una famiglia presente, sa distinguere la realtà dalla finzione. Al contrario, chi cresce nel vuoto educativo, chi respira disagio e abbandono, può trovare in quei modelli televisivi non una storia da osservare con distacco, ma un copione da imitare.
Le cronache raccontano di un’Italia dove l’aggressività esplode tra giovanissimi, armati non solo di pistole, ma anche di assenza. Sembrano mancare punti di riferimento, valori condivisi, opportunità concrete. La chiesa non è più in grado come qualche decennio fa di attirare giovani, le famiglie sono spesso disgregate e con genitori non sempre capaci di impartire insegnamenti e valori.
Il problema, dunque, non è Mare Fuori, ma chi è fuori davvero: fuori dalla scuola, fuori dalla famiglia, fuori da un sistema educativo in grado di costruire cittadini.
La responsabilità è collettiva
Dare la colpa alla TV è come rompere il termometro per abbassare la febbre. È la società tutta — noi adulti, gli educatori, i giornalisti — che dobbiamo chiederci cosa abbiamo fatto per prevenire tragedie come quella di Monreale. Dove erano le istituzioni? Quale supporto era stato dato a quei giovani? Chi ha insegnato loro a gestire un conflitto senza tirare fuori una pistola? Perché, sì: qui si muore davvero. Ma le radici di queste morti non sono scritte su un copione, i responsabili di tali drammi violenti non sono registi o autori. La vita non è un film.