Ci sono frasi che restano impresse perché raccontano più di qualsiasi ricostruzione. “Signore, prima idda e poi io”. In queste parole che sembrano forti, ciniche, da qualcuno attribuite alla mamma di Corleone, c’è tutta la disperazione di chi sa di essere l’unico argine tra una persona fragile e il vuoto. Non sono solo la testimonianza di un dramma familiare, ma il simbolo di un fallimento collettivo.
A quasi ottant’anni, Lucia Pecoraro aveva capito che il tempo stava per presentarle un conto impossibile da pagare. Sapeva che, se fosse venuta meno, nessuno avrebbe potuto prendersi cura della figlia Giuseppina con la stessa attenzione, con la stessa dedizione, con la stessa presenza instancabile. E allora – interpretando le sue intenzioni che sono ancora al vaglio degli inquirenti – ha scelto la via più estrema: la certezza che lo Stato, i servizi, la comunità non avrebbero potuto sostituirla.
Un altro caso drammatico a Palermo
È l’ennesima crepa di un sistema che continua a mostrare fragilità profonde. Qualche giorno fa, a Palermo, un giovane affetto da una grave forma di autismo è fuggito dalla struttura in cui era ricoverato. Minacciava di farla finita, fortunatamente è stato ritrovato dalla polizia dopo l’allarme disperato lanciato dalla madre. Lo stesso ragazzo, poche settimane prima, era stato salvato da una catena umana sul ponte Corleone, grazie al coraggio di un civile e di due uomini in borghese delle forze dell’ordine. Anche in quel caso la madre aveva gridato il suo dolore: “Non so più a chi chiedere aiuto, non so più dove portarlo, non so più come proteggerlo”.
Due storie diverse ma un unico filo rosso: l’assenza di un sistema stabile, diffuso e funzionante di presa in carico. Quando le famiglie sono sole, quando la disabilità viene affrontata come un affare privato si arriva a scenari in cui la solitudine spinge a scelte definitive.
Ciò che è accaduto a Corleone non deve essere archiviato come un fatto di cronaca nera. Semmai è un monito, una richiesta d’aiuto che arriva troppo tardi, ma che può e deve servire a cambiare le cose. Servizi continui e non intermittenti, strutture sicure e veramente inclusive, sostegno psicologico alle famiglie, percorsi che non crollino al primo imprevisto. Perché una società non si misura da come celebra i più forti, ma da come protegge i più fragili.




