domenica, 12 Ottobre 2025
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Quando la società smette di proporre visioni, modelli, regole, nasce un’umanità smarrita che cerca identità nei luoghi sbagliati

Palermo, il vuoto che uccide: non ci si salva solo con le divise ma con la cultura

L’omicidio di Paolo Taormina, ventun anni appena, freddato con un colpo di pistola alla testa nel cuore di Palermo, in via Spinuzza, non è soltanto una tragedia. È uno specchio spietato della nostra città.

A sparare, secondo le indagini, è stato Gaetano Maranzano, 28 anni, che dopo il delitto — come se fosse la scena finale di un film — è tornato a casa, si è guardato allo specchio e ha pubblicato un video su TikTok. Sul sottofondo, l’audio tratto dal film “Il capo dei capi”, dove Totò Riina pronuncia le parole del potere e dell’arroganza mafiosa.

Un gesto agghiacciante. Un assassino che si mette in posa, che trasforma il sangue in spettacolo, che usa il linguaggio dei social per costruire la propria mitologia criminale. La realtà vissuta come una sceneggiatura. L’identificazione con il boss, la ricerca di consenso virtuale, la spettacolarizzazione del male: tutto questo è il segno più cupo di una povertà culturale e umana che non si colma con più pattuglie, ma con più coscienza.

Ecco perché, come ha dichiarato il sindaco Roberto Lagalla, Palermo non ha solo un problema di ordine pubblico. Ha un problema educativo, sociale, morale. Serve – nelle sue parole – “un impegno corale per colmare il vuoto educativo che attraversa la città”.

Già, il vuoto. Il vuoto di senso, di opportunità, di fiducia. Il vuoto dentro le scuole, nelle famiglie, nei quartieri dimenticati. Il vuoto nelle istituzioni che vedono ma non intervengono, che parlano ma non ascoltano.

Come ha osservato Paolo Crepet, psicologo e sociologo, “è allucinante il vuoto che li divora, i giovanissimi. Un vuoto che è della società nel suo complesso, incapace di offrire modelli e alternative. […] I genitori non ci sono. Le istituzioni non ci sono. Non c’è niente. È si salvi chi può, se può, come può”.

Parole durissime ma vere. Questo vuoto non è un destino biologico, è una responsabilità collettiva. Quando la società smette di proporre visioni, modelli, regole, nasce un’umanità smarrita che cerca identità nei luoghi sbagliati: nei clan, nei social, nei simboli distorti del potere e della violenza.

Non è la violenza a sorprenderci, ma la nostra abitudine a conviverci. Non è il male che ritorna, è il bene che arretra. Palermo non si salva con le divise, si salva con la cultura. Con la scuola, con il teatro, con l’educazione al rispetto, con la bellezza che diventa alternativa alla sopraffazione.

Ogni volta che un ragazzo imbraccia una pistola invece di un sogno, è la città intera a fallire. E ogni volta che un assassino trova il coraggio di esibirsi sui social, è il segno che abbiamo smesso di vergognarci.

Palermo ha bisogno di un sussulto collettivo, come ha detto Il Sindaco Lagalla. Non di indignazione a caldo, ma di responsabilità quotidiana. Perché la vera emergenza non è l’ordine pubblico: è l’ordine educativo.

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