lunedì, 1 Dicembre 2025
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1 dicembre 2025

Palermo, omaggio al “Giudice ragazzino”: all’Agenzia delle Entrate sala convegni intitolata a Livatino

Rendere giustizia è realizzazione di sé, è preghiera, è dedizione di sé a Dio”. È questa la frase scelta per accogliere i visitatori nella sala convegni della Direzione regionale Sicilia dell’Agenzia delle Entrate che da oggi porta il nome di Rosario Livatino, il giudice beato ucciso dalla mafia nel 1990.

La targa che accompagna l’intitolazione ricorda anche come la vita di Livatino sia stata “testimonianza di unione profonda tra Fede e Giustizia”, un seme di speranza che possa illuminare il cammino degli uomini e delle donne dell’Amministrazione finanziaria. È un richiamo che assume un valore particolare proprio dentro l’Agenzia delle Entrate, dove il magistrato mosse i primi passi da giovane funzionario subito dopo la laurea in Giurisprudenza conseguita a Palermo nel 1975.

Assunto come vicedirettore all’Ufficio del registro di Agrigento, visse un’esperienza professionale che ne affinò l’intuito investigativo e la capacità di analizzare i fenomeni economico-finanziari emergenti, come le false fatturazioni e le società cartiere. Nel 1978, lasciò la sua scrivania per la carriera in magistratura.

Fu magistrato, dal 1979 come sostituto procuratore ad Agrigento e poi dal 1989 come giudice penale. Il suo percorso fu tragicamente interrotto il 21 settembre 1990, quando venne assassinato lungo la statale Agrigento-Caltanissetta da un commando mafioso.

La cerimonia di intitolazione della sala, gremita di funzionari, ospiti istituzionali e giornalisti, ha visto la partecipazione del sostituto procuratore nazionale antimafia Nino Di Matteo, del direttore dell’Agenzia delle Entrate Vincenzo Carbone e, da remoto a causa di un impegno improvviso, del viceministro dell’Economia e delle Finanze Maurizio Leo. L’inno nazionale suonato alla viola ha aperto l’evento prima dell’intervento di Carbone, che ha sottolineato come il “connubio tra sensibilità e competenza tecnica” incarnato da Livatino debba rappresentare un modello soprattutto per i giovani assunti che oggi entrano nei ranghi dell’Agenzia.

Carbone ha ricordato anche l’esempio di Rocco Chinnici, altro magistrato ucciso dalla mafia che, proprio come Livatino, iniziò la sua carriera nell’Ufficio del registro. Ha insistito sull’importanza della coerenza tra valori e comportamenti, rileggendo le parole dello stesso Livatino: “Quando moriremo, non ci chiederanno se siamo stati credenti ma credibili”. Un principio che – ha detto – deve trasformare la legalità da concetto astratto a stile di vita quotidiano.

La dimensione spirituale del magistrato, proclamato beato il 9 maggio 2021, è stata evocata da don Giuseppe Livatino, parroco di Canicattì e promotore del processo di beatificazione, che ha ricordato come ogni gesto del giudice fosse compiuto “sub tutela Dei”, sotto lo sguardo di Dio e nella ricerca di una giustizia che trascende la legalità.

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