Da Militello in Val di Catania al record dei tredici Sanremo, Baudo ha attraversato sessant’anni di costume nazionale trasformando il varietà in un laboratorio di linguaggi, talenti e sogni. La sua morte non è soltanto la scomparsa di un volto amatissimo: è il congedo di una stagione della televisione italiana che, grazie a lui, ha imparato a parlare a famiglie intere, con rigore e calore.
La biografia, d’altronde, è un manifesto. Il ragazzo che studia, suona, scrive e presenta già sui palchi della Sicilia, che approda in Rai all’inizio degli anni Sessanta e che, da Settevoci a Canzonissima, da Domenica in a Fantastico, fino al Festival di Sanremo presentato tredici volte, diventa il riferimento assoluto della conduzione. «Signore e signori, buonasera» era il suo saluto, ma era anche una dichiarazione di metodo: una festa governata dalla professionalità, dalla cultura, dalla curiosità. Baudo non conduceva soltanto: educava lo sguardo del Paese, scopriva e rilanciava artisti, cuciva la diretta come un sarto di alta scuola.
Dentro questa traiettoria c’è la Sicilia. Non come etichetta folcloristica, ma come matrice: una miscela di ironia, ospitalità, folclore e teatralità naturale. È la stessa isola che ha consegnato alla letteratura Andrea Camilleri, il racconto civile di Leonardo Sciascia, l’inesauribile modernità di Luigi Pirandello. È la stessa terra che ha dato alla televisione e allo spettacolo lo showman Rosario Fiorello e il fratello attore Giuseppe, vulcanici e popolarissimi; che ha visto crescere e imporsi i due comici Ficarra e Picone, eredi contemporanei di un umorismo che sa essere lieve ma incisivo; che ha espresso la dirompenza e la mimica di Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, coppia scolpita nella memoria collettiva. È la stessa radice che, per linee familiari, lega Amadeus — nato a Ravenna ma figlio di palermitani — a un sentire siciliano fatto di concretezza e calore.
E poi c’è il segno istituzionale: il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, palermitano, che nelle ore del cordoglio ha ricordato Baudo per ciò che è stato davvero: professionalità, cultura, garbo, straordinaria capacità di interpretare i gusti e le aspettative degli italiani. Parole che restituiscono il perimetro esatto del suo lascito: una tv popolare ma mai populista, capace di mescolare alto e basso senza confonderli, di portare il Paese sul palco e il palco dentro le case.
Baudo ha incarnato un tratto tipico dei siciliani che ce la fanno, come i compianti Totò Schillaci, Pino Caruso e Lando Buzzanca: l’arte di trasformare le contraddizioni in forza creativa. Il sorriso ampio e la battuta pronta erano la punta visibile di studio meticoloso, di un rispetto sacro per il pubblico ma anche di straordinaria capacità di improvvisazione, tipica del siciliano. Nel suo gesto di conduttore — il tempo tenuto con la precisione di un direttore d’orchestra, la mano che introduce, che protegge e che, quando serve, corregge — c’era la stessa sapienza con cui i maestri artigiani dell’isola sanno domare materiali di ogni tipo.
Non è un caso se tanti grandi italiani hanno radici in Sicilia. In quelle radici ci sono il mare e le montagne, le lingue che si sono incontrate nei secoli, l’abitudine a partire e a tornare, a fare di ogni approdo un’interpretazione del mondo. Camilleri e Sciascia hanno raccontato la verità con il gusto della storia e dell’indagine morale. Pirandello ha messo in scena la frantumazione dell’io quando ancora l’Europa cercava parole per dirla. Come non citare poi Falcone e Borsellino, eroi siciliani che hanno dato la vita per combattere il peggior cancro della nostra terra.
Una Sicilia tutt’altro che monocorda. Una tastiera di un pianoforte, con tante, tantissime note. Come quelle del regista bagherese Peppino Tornatore che ha firmato capolavori che hanno portato il cinema italiano sul tetto del mondo, come “Nuovo Cinema Paradiso” o “Baaria”, con sguardo poetico e universale.
O come, sul fronte della cultura visiva e dello stile, le immagini capolavoro di Letizia Battaglia che ha insegnato a guardare la realtà senza veli, o i preziosi abiti di Domenico Dolce di Polizzi Generosa, insieme all’ex compagno Gabbana, ha trasformato la tradizione isolana e i suoi colori, in linguaggio globale.
Pippo Baudo invece stava lì come un ponte. Un ponte ideale ma reale tra la Sicilia e l’Italia. Metà cerimoniere, metà talent scout, interamente uomo di spettacolo. Quando la musica incalzava e la diretta sbandava, lui teneva la rotta. In quella regia del tempo sta la misura del suo talento. Anche davanti agli imprevisti. Una capacità di problem solving, unita ad uno straordinario talento che partiva dalla spontaneità e non da una costruzione artefatta, che ha regalato al Paese un grandissimo personaggio che rimarrà nella storia della tv, della cultura e dello spettacolo.
Ieri sera, a Roma, se n’è andato il più riconoscibile dei nostri anfitrioni. Restano i programmi che hanno fatto scuola, i debutti che gli devono gratitudine, le domeniche pomeriggio in cui il Paese si ritrovava. Restano soprattutto un’idea di televisione come servizio e un’idea di sicilianità come forma di apertura, anche nei tempi più bui della storia italiana e siciliana: mani tese, schiena dritta, sguardo lungo. È un’eredità che non si archivia; semmai si raccoglie. Un orgoglio, per l’Italia, ma soprattutto per noi siciliani.