Altro che fiaba per bambini. Re Chicchinella, lavoro di Emma Dante in debutto il 18 ottobre 2025 al Teatro Biondo di Palermo, è un ordigno teatrale travestito da racconto popolare. Partendo da una delle novelle più surreali de Lu cunto de li cunti di Giambattista Basile, la regista siciliana costruisce un’ora e venti minuti di spettacolo che mescola comicità scatologica, visioni barocche e crudeltà familiare con la naturalezza di chi sa che la verità sta spesso nello sberleffo.
La trama è semplice e disarmante: un re, colto da un bisogno fisiologico, usa una gallina creduta morta per pulirsi. Ma la gallina è viva, gli si insinua nel corpo e inizia a divorare tutto ciò che mangia, trasformando l’ottuso sovrano in una strabiliante macchina dalle uova d’oro. Da qui si dipana una trama surreale intrisa di suggestioni da incubo: il sovrano vorrebbe morire di fame per liberarsi della bestia, ma la corte — una famiglia travestita da istituzione — lo trattiene per avidità.
Il grottesco diventa così lente crudele sulla realtà. Dietro la farsa c’è la diagnosi di un mondo in cui l’individuo vale solo in base a ciò che produce, anche quando soffre. La gallina è parassita, simbolo, punizione e dipendenza. Ma soprattutto è verità: qualcosa che entra dentro e non puoi più espellere. L’aspetto patologico del potere messo a nudo con grottesca ferocia.
Il cast — capitanato da Carmine Maringola nei panni del re e affiancato da Angelica Bifano, Samuel Salamone, Viola Carinci e un’intera corte di caratteri deformati — agisce come un organismo unico, oscillando tra cerimoniale e farsa. Le scene e i costumi, firmati dalla stessa Dante, compongono un carnevale cupo in cui la risata è sempre sul punto di diventare grido.
Perché è importante assistere a Re Chicchinella? Perché non si limita a raccontare una storia: mette il pubblico in trappola, come la gallina nel corpo del re. Ti fa ridere, poi ti chiede: e tu, cosa ingoi ogni giorno per convenienza? Cosa lasci che ti divori dall’interno? Emma Dante non offre consolazione. Ma offre la libertà di guardare il marcio e riderci sopra, che forse è la prima forma di resistenza.