Donna vince ricorso contro società cessionaria credito

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Una signora palermitana si è trovata di fronte a una richiesta di pagamento di quasi 10.000 euro avanzata da una società cessionaria del credito, nonostante non avesse mai avuto rapporti con tale società. Grazie all’assistenza legale dello studio Palmigiano e Associati, il tribunale di Palermo ha riconosciuto che la richiesta era illegittima, dichiarando che la società non aveva titolo per richiedere la somma.

La vicenda ha avuto inizio nel 2012, quando la signora aveva ottenuto da una nota finanziaria due aperture di credito a tempo indeterminato per un totale di 3.000 euro. Tuttavia, nel 2019, ha ricevuto una comunicazione da una diversa società che si dichiarava cessionaria del credito e pretendeva l’immediato pagamento di 9.648,75 euro, seguito da un decreto ingiuntivo. Spaventata dall’importo sproporzionato e dalla richiesta proveniente da un soggetto con cui non aveva mai avuto rapporti, ha deciso di rivolgersi allo studio legale Palmigiano e Associati, che da anni si occupa di diritto bancario.

Gli avvocati Alessandro Palmigiano ed Elisabetta Violante hanno sollevato diverse criticità: l’applicazione di tassi eccessivamente elevati nel calcolo dell’importo, la mancata considerazione della polizza assicurativa obbligatoria già versata dalla cliente, l’assenza di prove sufficienti sulla titolarità del credito. Il contratto presentato dalla società cessionaria non conteneva riferimenti specifici alla posizione della cliente, e anche la dichiarazione della finanziaria originaria non costituiva prova adeguata della cessione. 

Il tribunale di Palermo, terza sezione civile, con sentenza n. 556/2025, ha dato ragione alla consumatrice, ribadendo il principio giuridico secondo cui la parte che avanza una pretesa deve dimostrare la propria legittimazione attiva. Il giudice Adriana Pandolfo ha evidenziato che la società non ha fornito adeguata documentazione che attestasse la cessione del credito in suo favore: «Facendo applicazione dell’ormai consolidato principio secondo cui trattandosi di un fatto costitutivo del diritto fatto valere in sede monitoria, sarebbe spettato all’opposta provare compiutamente, ai sensi dell’art. 2697 cc, la propria titolarità soggettiva (Cass., SS.UU., n. 2951/2016), appare evidente che l’opposta non ha assolto all’onere probatorio sulla stessa gravante, posto che emerge dalla documentazione prodotta l’insufficienza probatoria dell’intervenuta cessione del credito in suo favore da parte della cedente (originaria titolare del credito de quo) e la consequenziale successione nella titolarità del rapporto».

Anche il Tribunale di Termini Imerese conferma la linea in un caso analogo che ha visto protagonista un professionista per un mutuo di 250.000 euro per l’acquisto della prima casa. Nel 2023 ha ricevuto da una società terza un atto di precetto e un pignoramento di quasi 45.000 euro per rate bloccate nel periodo Covid. Il tribunale di Termini Imerese, con sentenza n. 209/2025 di Giovanna Debernardi, ha riconosciuto l’illegittimità della pretesa per mancanza di prova della cessione del credito.

«Sono lieto dei risultati ottenuti – ha commentato l’avvocato Alessandro Palmigiano –. Purtroppo, accade sovente che i consumatori e le imprese rimangano vittime di un sistema a “scatole cinesi” ed è, quindi, importante far visionare i documenti per verificarne la correttezza. È infatti fondamentale verificare che chi asserisce di vantare un credito, dimostri di avere titolo per farlo».