Scossa nella lotta alla mafia: la Cassazione ha annullato con rinvio il regime di carcere duro per Giovanni Riina, figlio del boss Totò Riina, aprendo un acceso dibattito politico e sollevando preoccupazioni sul futuro degli strumenti di contrasto al crimine organizzato. Riina, detenuto dal 1996 e sottoposto al 41-bis dal 2002, aveva presentato ricorso contro la proroga del regime carcerario disposta dal Ministero della Giustizia nel novembre 2023. La Cassazione ha accolto il ricorso, giudicando “meramente apparente” la motivazione con cui il Tribunale di Sorveglianza di Roma aveva confermato il 41-bis lo scorso giugno.
La decisione ha scatenato immediate reazioni politiche. Chiara Colosimo, presidente della Commissione parlamentare antimafia, ha annunciato di voler “chiedere le carte su Giovanni Riina” e di voler utilizzare la Commissione “a difesa del 41-bis”, sottolineando la pericolosità del soggetto e il timore che il suo nome ancora incute.
Duro anche il commento di Andrea Delmastro delle Vedove, sottosegretario alla Giustizia: “Pur nel rispetto dovuto alla Suprema Corte, insisteremo nella richiesta di applicazione del regime del carcere duro a Giovanni Riina”, assicurando che verranno forniti nuovi elementi agli investigatori per dimostrare l’attuale pericolosità di Riina. Sulla stessa linea si è espresso Giovanni Donzelli di Fratelli d’Italia, ribadendo l’importanza del 41-bis come strumento fondamentale nella lotta alla mafia e garantendo che il governo continuerà a considerarlo un pilastro indiscutibile.
Preoccupazione è stata espressa anche da Giuseppe Antoci, europarlamentare del Movimento 5 Stelle, che ha sottolineato il rischio che la decisione della Cassazione possa permettere a Riina di “riallacciare i contatti con l’esterno”.