Dentro le mura del carcere Pagliarelli pare si muovesse un sistema parallelo, fatto di complicità, soldi e violenza. A orchestrarlo, secondo la Direzione distrettuale antimafia, due agenti della polizia penitenziaria: Paolo Francesco Cardinale e Andrea Giuseppe Corrao. Entrambi sono finiti agli arresti domiciliari con l’accusa di corruzione e accesso indebito a dispositivi di comunicazione. Ma l’inchiesta svela uno scenario ben più profondo di una semplice infedeltà al giuramento di servitori dello Stato.
All’interno delle sezioni di alta sicurezza, Cardinale era noto come u zuoppu, appellativo datogli dai detenuti stessi. Secondo gli inquirenti, lui e Corrao avrebbero agito come una squadra collaudata, scambiandosi consegne, percentuali, incarichi. Quando uno mancava, l’altro subentrava. Una sorta di tandem criminale al servizio dei boss reclusi.
Il meccanismo era semplice ma estremamente redditizio: durante i loro turni, i due agenti pare garantissero la copertura necessaria per far entrare droga, telefoni cellulari e altri oggetti proibiti. Tutto avveniva lontano da occhi indiscreti e con pagamenti rigorosamente in contanti. In un caso, tre telefoni sarebbero stati introdotti dietro compenso di 2.800 euro. Le tariffe erano alle stelle: la cocaina veniva venduta a 60 euro al grammo, dieci volte il prezzo praticato in strada.
Ma il denaro non era sempre la sola moneta di scambio. In un’occasione, Corrao avrebbe chiesto un sovrapprezzo per coprire una multa ricevuta mentre effettuava una consegna. A pagare fu il detenuto Antonino Messina, detto Pocket coffee. Corrao doveva consegnargli cocaina e un telefono in cambio di 600 euro.
Il sistema era talmente radicato da includere anche la “gestione dei debiti” tra detenuti. In un caso, Corrao si rivolse a Antonio Nigito, pregiudicato catanese ritenuto figura dominante all’interno del carcere, per riscuotere una somma da parte di un detenuto prossimo alla scarcerazione, noto come Caterpillar.
Cardinale, anche se spesso assente dal lavoro per malattia, compare in almeno sei episodi di corruzione tra novembre e dicembre 2023. Ma è un episodio del maggio 2024 a svelare un lato ancora più inquietante della vicenda. L’agente, parlando con un detenuto, si lascia andare a uno sfogo: «A questo, nessuno hai per ammazzarlo a bastonate?». Cinque giorni dopo, il detenuto di origini tunisino viene selvaggiamente picchiato da sei compagni. Le sue condizioni richiederanno il ricovero in infermeria e poi in pronto soccorso, con dieci giorni di prognosi per lesioni multiple, tra cui una contusione polmonare e una sospetta frattura costale.
È stato proprio lui, dopo il pestaggio, a rompere il muro del silenzio, raccontando nomi, dinamiche e le regole imposte dai gruppi che dominano dietro le sbarre. Un racconto che ha dato corpo all’inchiesta della DDA.