Forse sarò troppo “Duro”, ma l’esordio da protagonista in un film nel grande schermo per Angelo è da dimenticare. “Io sono la fine del mondo” è partito bene nelle sale, ma è probabile che, scemata la curiosità iniziale, il film faccia presto un netto calo nelle classifiche dei botteghini, anche per via delle recensioni e del passaparola.
Il comico palermitano, nella nuova commedia uscita pochi giorni fa, mette i panni di un figlio che vive a Roma da anni dopo essere andato via da Palermo a causa del suo cattivo rapporto con i familiari. Lasciato dalla fidanzata e anche dalla sua vecchia auto in piena estate, Duro è costretto ad accettare la richiesta della sorella che, per concedersi una vacanza col marito, gli chiede di tornare a Palermo per quindici giorni per occuparsi dei suoi genitori.
Spinto da ragioni opportunistiche e dalla sete di vendetta nei confronti dei suoi familiari, rei di averlo chiuso in collegio da piccolo e di avergli fatto mancare affetto, il giovane torna a Palermo accettando la richiesta della sorella. Angelo Duro può dunque, anche nel grande schermo, sfoggiare liberamente il cinismo che lo ha reso famoso. Il suo personaggio, però, si scontra con il realismo di un film, che non è solo immaginato ma rappresentato.
Sorrisi smorzati
L’Angelo Duro politicamente scorretto ammirato in teatro, con le sue pause e i suoi silenzi, nella pellicola assume un tono completamente diverso, che viene percepito dal pubblico non più come cinismo, ma come vera e propria crudeltà. Che non può fare ridere. Chi sorride, un po’ a denti stretti e forse con un po’ di vergogna, lo fa solo perché ad interpretare quel ruolo è il cinico e spietato attore Angelo Duro, che in un contesto cinematografico, però, perde di credibilità.
Angelo Duro nettamente meglio in teatro
L’attore per tutto il film rimane schiavo del suo personaggio visto in teatro. Il regista, Gennaro Nunziante, in altri film ha dato il meglio di sé giocando sulla trasposizione di un personaggio dal palco al cinema – come per esempio con Checco Zalone -. Ma con Duro questo esperimento non funziona. Non è un monologo, in cui il narcisismo e il cinismo di Duro sono ben tollerati. Qui l’attore palermitano appare scontato e ripetitivo, a tratti perfino fastidioso, con la sua eccessiva boriosità e con la sua estrema insensibilità.
Bravi i genitori di Angelo Duro
La crudeltà di Angelo in questo film, risulta forzata, esagerata e a tratti ridicola. La sceneggiatura è grottesca e surreale. Da salvare di questa pellicola sono la fotografia, le location scelte (Roma e Palermo) e i genitori del protagonista, ovvero il navigato attore Giorgio Colangeli, seppur col suo inconfondibile accento romanesco in un film in cui avrebbe dovuto interpretare un padre palermitano, e una strepitosa Matilde Piana. Per il resto, 96 minuti di noia, in cui ogni finale di scena può essere raccontato dallo spettatore ancora prima di averlo visto e in cui ogni gag è banalmente la copia di tutte quelle precedenti. Insomma, non proprio “la fine del mondo”.