Un cyberattacco ha preso di mira Collins Aerospace, fornitore internazionale di servizi per i sistemi di check-in e imbarco, paralizzando i processi automatizzati negli aeroporti di Bruxelles, Berlino e Londra-Heathrow. L’attacco ha causato il blocco delle procedure digitali e obbligato il personale a gestire i flussi passeggeri attraverso sistemi manuali. Le conseguenze sono state immediate: ritardi diffusi, cancellazioni di voli e lunghe file negli scali colpiti. Nessun problema, invece, è stato segnalato negli aeroporti italiani.
Secondo fonti interne allo scalo di Bruxelles, “l’attacco ha reso inutilizzabili i sistemi automatizzati, costringendo il personale a lavorare in condizioni di emergenza con procedure manuali, inevitabilmente più lente e complesse”. Episodi che mettono in evidenza non soltanto la vulnerabilità delle infrastrutture critiche, ma anche la pericolosa evoluzione delle minacce digitali a livello globale.
Gli aeroporti, come altri nodi vitali della vita moderna, non sono semplici luoghi di transito: rappresentano arterie essenziali per l’economia, il commercio, la sicurezza e la mobilità. Un attacco informatico capace di bloccarne le funzioni può produrre effetti a catena che vanno ben oltre i disagi per i passeggeri. Basta immaginare cosa significhi paralizzare simultaneamente più scali europei: ritardi nei trasporti merci, difficoltà nella catena di approvvigionamento, rischi per la sicurezza dei voli e conseguenze economiche che possono colpire interi Paesi.
Si riaccende dunque il dibattito sul concetto di guerra cibernetica, un conflitto che non utilizza armi convenzionali ma strumenti digitali, e che può essere altrettanto devastante. Un cyberattacco su larga scala contro centrali elettriche, ospedali, banche, sistemi di telecomunicazione o reti di trasporto potrebbe avere effetti equiparabili a quelli di un bombardamento: spegnere una città, interrompere cure mediche vitali, destabilizzare economie e mettere a rischio vite umane.
Le ragioni per cui la guerra cibernetica è considerata non meno pericolosa di quella tradizionale risiedono nella sua invisibilità, rapidità e imprevedibilità. Invisibilità perché chi colpisce può farlo senza farsi riconoscere, nascondendosi dietro identità digitali e server sparsi nel mondo. Rapidità perché un virus informatico o un attacco DDoS può diffondersi e bloccare sistemi complessi in pochi minuti. Imprevedibilità perché i bersagli possono cambiare improvvisamente: oggi aeroporti, domani ospedali o centrali idriche.
C’è poi un altro aspetto cruciale: mentre una guerra tradizionale è spesso preceduta da tensioni visibili, la guerra cibernetica può scoppiare senza preavviso, con un semplice clic che manda in tilt sistemi vitali. È un conflitto che può colpire in profondità, senza sparare un colpo, sfruttando l’interdipendenza delle infrastrutture digitali da cui dipende ormai ogni società moderna.
L’attacco che ha colpito Bruxelles, Berlino e Londra è l’ennesimo campanello d’allarme. La sicurezza cibernetica non è più un settore secondario o un tema solo tecnico, ma una priorità geopolitica di primo piano. Proteggere reti e sistemi digitali significa difendere non solo dati e informazioni, ma la stessa continuità della vita quotidiana. Perché, in un mondo iperconnesso, un virus informatico può avere lo stesso effetto distruttivo di una bomba.