Quando Paolo Sorrentino ha pensato a “La grande bellezza”, sicuramente non intendeva un Avellino – Palermo di un sabato pomeriggio prenatalizio. La partita, infatti, è bella come una rassegna di film vietnamiti sottotitolati in moldavo e – per come si è sviluppata – entrambe le squadre possono recriminare sul risultato ma, contemporaneamente, possono ritenersi soddisfatte del punticino. Cose che solo la magia della Serie B riesce a regalare.
IL PRIMO TEMPO: AVANTI L’AVELLINO
Due squadre che si annullano a “vicenza”. Pressing furibondo da entrambe le parti, ma calcio con la C maiuscola che latita più di Matteo Messina Denaro. Vi racconteranno anche di un bel Palermo nella prima mezz’ora, ma chi lo farà sarà sicuramente ispirato da Goethe. “La bellezza sta negli occhi di chi guarda” è, infatti, un aforisma attribuito allo scrittore e poeta che proprio del capoluogo siculo era rimasto ammaliato. Ricostruiamo brutalmente il primo tempo del Palermo: tiri in porta? Zero. Azioni costruite? Zero. Pericoli portati alla difesa irpina? Zero. Ah, scusate: nel frattempo l’Avellino era pure passato in vantaggio. Minuto 39°, la difesa rosanero è settata presepe-style e Biasci – che ci affligge ormai dai tempi della C – deposita oro, incenso e mirra alle spalle di Joronen. Dopo quarantacinque minuti francamente inguardabili si va negli spogliatoi.
IL SECONDO TEMPO: RIBALTONE PALERMO, PARI BIANCOVERDE
Festival dei delusi nel secondo tempo. Lo sono quelli che pensavano che il Palermo sarebbe rientrato con un piglio diverso, lo sono quelli che pensavano che mister Inzaghi avrebbe operato qualche sostituzione nell’intervallo. Pronti-via e i rosa provano a concedere il raddoppio all’Avellino: Ceccaroni pensa che Tutino giochi ancora con il Palermo e lo lancia verso la porta di Joronen, poi si ravvede e salva sulla linea di porta. Galipò – migliore in campo per il Palermo – salva Bani da un doppio giallo, Inzaghi capisce “la viliàta” e cambia il capitano a lampo. La partita rimane bella come come un concerto di Sandro Giacobbe ed i rosa arrivano al pareggio al 70°, alla prima vera occasione. Augello serve in area Ceccaroni, Daffara intercetta la conclusione del 32 ma la palla arriva a Ranocchia che calcia un autoarticolato con rimorchio dentro la porta biancoverde. Il Palermo prende fiducia e gioca dieci minuti di buon calcio. Minuto 83, ancora il buon Galipò – ce ne vorrebbe uno a settimana così – fischia un calcio di rigore per i rosa ineccepibile a termini di regolamento ma che – a parti invertite – staremmo ancora sacramentando utilizzando male parole ventisette lingue diverse tra cui il sanscrito e lo swahili. Pohjanpalo lascia traccia di sé timbrando dal dischetto e la gara sembra incanalarsi incredibilmente sui binari rosanero. “E io che ci sto a fare?”, pare abbia detto Diakitè: gomitata a centrocampo a Lescano, espulsione, Palermo in 10, pressing irpino, pareggio con Palumbo. E ringraziamo portJoronen se non è andata peggio.
LE PAGELLE
Joronen 6,5. Non può niente sul primo gol, mentre sul secondo pare tuffarsi dentro la porta. Alla fine, però, porta a casa la pagnotta salvando il salvabile in pieno recupero.
Peda 6. La sua è la zona in cui si soffre meno. Braccetto di ferro.
Bani 5. Al Partenio è scesa in campo la controfigura del Banienbauer a cui siamo abituati. È spesso più ritardatario di un autobus in periferia e non prende un doppio giallo solo grazie a San Galipò da Firenze. Squalificato, ci vediamo nel 2026, Arripigghiati.
Dal 66° Gyasi 5. Entra bene in campo dopo un’eternità fuori per infortunio. Ma nell’occasione del secondo gol dell’Avellino è una Fiat Ritmo che prova a contrastare una McClaren. Tenerezza.
Ceccaroni 5,5. Dietro ha ballato che neanche al Sambodromo di Rio de Janeiro a Carnevale. In compenso si è sempre fatto trovare pronto in fase offensiva. Essere o non essere (difensore)?
Diakitè 4. Lascia la squadra in dieci nel momento in cui la partita sembrava indirizzata verso viale del fante. Arruffone, sgraziato, impreciso. Ma ha anche dei difetti.
Segre 4,5. Come alla dogana: niente da dichiarare.
Dal 66° Gomes 5,5. Incide sulla gara quanto Calenda alle elezioni.
Ranocchia 6. Il gol, la panacea di tutti i mali! Però fra noi ce lo possiamo dire: il buon Filippo è stato travolto per settanta minuti da un centrocampo biancoverde che correva il doppio, il triplo, il quadruplo e non ha mai trovato le misure per una costruzione degna di nota.
Dal 85° Giovane s.v.
Augello 5. Come una sparapalle da tennis, si segnala per quasi tutta la gara solo per le lunghe rimesse laterali. Dai suoi piedi parte l’azione del pari rosa, ma fuori posizione e del tutto casuale. Non si hanno notizie del calciatore che fino all’anno scorso metteva a referto assist su assist in Serie A.
Palumbo 5. Si trova avversari pure dentro i parastinchi e non riesce mai ad uscire dalla gabbia.
Dal 85° Blin s.v.
Le Douaron 5. “Il fantasma di Brest” non fa paura ai lupi. Timido.
Dal 90° Veroli s.v.
Pohjanpalo 6. Abbandonato al suo destino per tutto il match, non riceve un-pallone-uno degno di nota. Il gol su rigore è uno di quei dolcificanti che non dolcifica un tubo.
Inzaghi 5. Lettura della gara e cambi altamente discutibili (sia per la gestione dei cartellini con Bani e Diakitè, sia per il doppio cambio Ranocchia – Palumbo effettuato subito dopo il vantaggio). Dalla sua il fatto di avere una coperta troppo corta in questo momento per puntare a traguardi veramente ambiziosi.



