venerdì, 10 Ottobre 2025
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Dopo la fiammata: la Sicilia, Palermo e il Sud alla prova del dopo PNRR

Dopo la fiammata: la Sicilia, Palermo e il Sud alla prova del dopo PNRR

di Carmelo Greco

C’è stato un tempo in cui la sigla PNRR evocava speranza. Cantieri, investimenti, assunzioni. Un piano “epocale”, ripetevano in coro politici ed economisti. Oggi, mentre il 2026 si avvicina e l’orizzonte si accorcia, quella speranza lascia spazio a una domanda più inquieta: cosa succederà quando la fiammata si spegnerà?

La metafora del fuoco

Il PNRR nel Mezzogiorno non è stato solo un piano economico. È stato una fiammata improvvisa che ha acceso per qualche anno la macchina dello sviluppo, illuminando possibilità dimenticate. Ma le fiammate, per loro natura, durano poco. E quando si estinguono, lasciano solo ciò che il calore ha saputo forgiare. Il punto cruciale è proprio questo: cosa resterà davvero alla Sicilia — e a Palermo in particolare — dopo la grande stagione dei fondi europei?

Montagne di promesse, gocce di realtà

Il Piano assegnava al Sud circa il 40% delle risorse totali: oltre 80 miliardi di euro. Alla Sicilia spettavano quasi 14 miliardi tra interventi diretti, progetti territoriali e bandi ministeriali. Cifre che sulla carta promettevano una rivoluzione. La realtà racconta un’altra storia: secondo i dati più recenti, sembrerebbe che appena il 13% dei fondi è stato effettivamente speso, e meno del 10% dei progetti è completato.

Le cause? Un cocktail tossico di procedure farraginose, carenza cronica di personale tecnico, frammentazione delle competenze e difficoltà nella progettazione esecutiva. Il risultato è che molti cantieri sono partiti in ritardo o non sono mai usciti dalla carta. Restano lì, fantasmi burocratici in attesa di una firma che forse non arriverà mai.

I numeri che fanno paura

A Palermo e provincia, 6.439 negozi hanno abbassato per sempre la saracinesca negli ultimi cinque anni. Dal 2019 al 2024, il saldo negativo complessivo parla di 53.441 attività commerciali scomparse — numeri drammatici emersi durante il panel sullo stato dell’economia a Palermo alla Festa dell’Unità 2025 ,dove esperti e rappresentanti delle categorie hanno tracciato un quadro allarmante della situazione locale.

Il tessuto imprenditoriale siciliano continua a sfilacciarsi. Nonostante alcuni segnali apparentemente positivi nei trimestri più recenti, la realtà mostra una tendenza strutturale preoccupante: nel solo secondo trimestre 2024, a fronte di 5.849 nuove iscrizioni si sono registrate 4.090 cessazioni in tutta la Sicilia, secondo i dati di Unioncamere Sicilia. E se guardiamo al primo trimestre 2024, il quadro è ancora più fosco: il bilancio si chiuse con un saldo negativo di ben 9.338 imprese cessate, come riportato dall’Osservatorio economico di Unioncamere nel 2025.

Ogni serranda chiusa non è solo un numero: è un pezzo di tessuto urbano che si sfilaccia, un’identità che si perde, una famiglia che si impoverisce. Bankitalia lo dice chiaramente: la stagnazione delle microimprese nel Mezzogiorno non frena solo il Sud, ma rallenta la crescita potenziale dell’intero Paese, riducendo la capacità di assorbire investimenti pubblici straordinari come quelli del PNRR.

Palermo: capitale del potenziale tradito

Palermo incarna alla perfezione il paradosso siciliano: potenziale enorme, capacità amministrativa scarsa. Il Comune, in dissesto finanziario da anni, ha faticato ad attivare la macchina tecnica necessaria per monitorare e rendicontare le opere. Le strutture tecniche sono sottodimensionate, molti uffici funzionano ancora in modo analogico, la carenza di personale qualificato ha trasformato ogni progetto in un’odissea burocratica.

Eppure, proprio nell’area metropolitana si concentrano i progetti più strategici del PNRR: la nuova rete tranviaria che dovrebbe collegare periferie dimenticate al centro; la rigenerazione di Brancaccio, Sperone e Zen, quartieri simbolo del degrado urbano; il piano di edilizia scolastica; il potenziamento delle comunità energetiche rinnovabili; i Punti di facilitazione digitale che stanno aiutando migliaia di cittadini a interfacciarsi con una Pubblica Amministrazione sempre più digitale.

Sono interventi che, se completati, potrebbero cambiare il volto della città. Ma se resteranno incompiuti, diventeranno monumenti all’occasione perduta: cantieri eterni, promesse tradite, l’ennesima disillusione collettiva in una terra che di delusioni ne ha già conosciute troppe.

L’effetto cliff: quando l’ascensore scende in picchiata

Il PNRR ha funzionato come un acceleratore artificiale dell’economia: nel biennio 2023-2024 ha contribuito fino a 0,6 punti di PIL in più secondo Prometeia e Banca d’Italia. Ma quella crescita era “a prestito”, temporanea, sostenuta da risorse esterne destinate a esaurirsi. Quando le erogazioni finiranno nel 2026, il rischio è una caduta a picco, un “effetto cliff” che potrebbe colpire il Sud con particolare violenza.

John Maynard Keynes aveva già compreso, quasi un secolo fa, che “la difficoltà non sta nelle nuove idee, ma nell’evadere dalle vecchie.” Il problema del Sud non è mai stato la mancanza di risorse temporanee, ma l’incapacità di costruire strutture permanenti che sostengano lo sviluppo oltre l’emergenza. Come scriveva ancora Keynes: “Nel lungo periodo saremo tutti morti” — ma questo non può essere una giustificazione per non pensare al domani.

Come ha sottolineato l’economista Daron Acemoglu, premio Nobel per l’economia: “Le istituzioni inclusive sono quelle che permettono e incoraggiano la partecipazione della grande massa delle persone alle attività economiche.” Senza istituzioni capaci di sostenere lo sviluppo nel lungo periodo, anche gli investimenti più generosi rischiano di evaporare.

La Sicilia, che già oggi cresce meno della media nazionale, potrebbe perdere tra 0,3 e 0,5 punti di PIL nel biennio successivo, con ricadute pesanti su occupazione e redditi. A Palermo, dove il tessuto produttivo è composto principalmente da microimprese, artigiani e servizi a basso valore aggiunto, la frenata si tradurrebbe in nuova disoccupazione e chiusure a catena. Un effetto domino difficile da arrestare.

Le imprese sul filo del rasoio

Il PNRR ha dato ossigeno a centinaia di aziende locali nei settori edile, impiantistico, della consulenza tecnica e digitale. Molte hanno investito assumendo personale o acquistando macchinari, confidando in bandi pluriennali che promettevano continuità. Ma se il flusso di fondi si interrompe bruscamente, la liquidità si prosciuga e il rischio fallimento diventa concreto.

Senza una programmazione di continuità, il dopo-PNRR potrebbe trasformarsi in un campo di battaglia economico: imprese indebitate, lavoratori senza prospettive, enti locali senza risorse per completare le opere. In provincia di Palermo — da Termini Imerese a Partinico, da Carini a Corleone — molte piccole imprese stanno già rallentando i cantieri in attesa di certezze sui flussi futuri che nessuno riesce a garantire.

Il vero nodo: la capacità amministrativa

Il problema cruciale non è solo la mancanza di fondi, ma la debolezza cronica degli enti locali siciliani. Mancano progettisti, rendicontatori, dirigenti esperti di fondi europei. Il PNRR ha messo a nudo questa fragilità strutturale con spietata chiarezza.

Secondo ForumPA, il rischio maggiore non è solo non completare le opere, ma perdere il capitale umano e organizzativo faticosamente creato in questi anni: tecnici formati, unità di missione, piattaforme digitali. Se queste strutture verranno smantellate a fine Piano, si perderà il vero lascito del PNRR: le competenze.

Mathias Cormann, segretario generale OCSE , lo dice chiaramente: “Investire nelle competenze e nella capacità istituzionale non è un costo: è la base per una crescita sostenibile.”

Paul Krugman, economista e premio Nobel , ha spesso sottolineato che “la produttività non è tutto, ma nel lungo periodo è quasi tutto.” E la produttività nasce proprio dalla capacità delle istituzioni di creare un ambiente favorevole all’innovazione e agli investimenti duraturi.

La politica davanti allo specchio

Il presidente della Regione Renato Schifani ha dichiarato che “la Sicilia non perderà nemmeno un euro” e che “chi sbaglia paga”. Parole forti, che però devono tradursi in fatti (al momento poco visibili). Serve una cabina di regia regionale capace di unire Comuni, imprese, università e società civile in una strategia coerente di sviluppo.

Il PNRR non è più un insieme di bandi: è diventato un banco di prova politico. Se fallisce, non fallisce solo la macchina amministrativa, ma la credibilità dell’intera classe dirigente. E in una terra dove la sfiducia nelle istituzioni è già altissima, un altro fallimento sarebbe devastante.

Tre scenari per il futuro

Quando la fiammata finirà, tre scenari possibili si aprono davanti alla Sicilia e a Palermo.

1) Continuità intelligente: salvare competenze e modelli di gestione, trasformare le unità di missione in strutture permanenti, consolidare un nuovo modo di amministrare. È lo scenario virtuoso, quello in cui la Sicilia diventa laboratorio di governance moderna capace di ispirare altre regioni del Mezzogiorno;

2) Ritorno all’immobilismo: i fondi finiscono, le strutture si sciolgono, i progetti si arenano. Tutto torna come prima — burocrazia lenta, precarietà, opportunità mancate. Palermo tornerebbe a essere un museo del non compiuto, una vetrina di possibilità tradite;

3) Transizione europea: collegare il PNRR con la programmazione 2027-2034, trasformandolo in un volano permanente di investimento e coesione. Richiede capacità politica, visione e unità di intenti. È lo scenario più ambizioso, ma anche l’unico che può garantire una crescita davvero sostenibile.

Dopo la fiammata: cosa ci resta?

Il PNRR ha acceso un fuoco che ha fatto correre l’economia, risvegliato energie sopite, portato cantieri e lavoro in territori abituati all’abbandono. Ma ora che la fiamma si spegne, resta la domanda decisiva: cosa ne rimane?

Se tutto tornerà come prima, sarà stato solo un fuoco di paglia. Un’illusione costosa che ha lasciato dietro di sé cenere e delusione. Ma se da questa esperienza nascerà una nuova consapevolezza — che lo sviluppo si costruisce con continuità, competenze e fiducia nelle istituzioni — allora la Sicilia potrà dire di aver davvero imparato la lezione.

Come ha scritto Amartya Sen, premio Nobel per l’economia: “Lo sviluppo può essere visto come un processo di espansione delle libertà reali di cui godono gli esseri umani.” E queste libertà non si costruiscono con fiammate temporanee, ma con politiche sostenibili e inclusive.

Palermo ha una responsabilità storica: dimostrare che il Sud può cambiare non con le fiammate improvvise, ma con la costanza del fuoco che non si spegne mai. Solo così il dopo-PNRR non sarà un epilogo amaro, ma l’inizio di un cammino di crescita sostenibile e inclusiva, capace di trasformare la straordinarietà in normalità e le opportunità in futuro concreto per cittadini, imprese e territori.

La fiammata si sta spegnendo. Ciò che conta ora è cosa abbiamo costruito mentre ardeva. –

Contributo inviato a QdP da Carmelo Greco- Resp.Org. Unione Prov.le Partito Democratico di Palermo

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