mercoledì, 27 Agosto 2025
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Il leader di Azione attacca l’autonomia siciliana: stop al clientelismo e alle gestioni inefficaci. La replica: “Parla senza conoscere lo Statuto”

Calenda attacca l’Ars: “La Sicilia non deve più avere un Parlamento regionale”

Carlo Calenda, leader di Azione, al centro di un nuovo ciclone politico dopo le sue parole al festival della Versiliana: “La Sicilia non deve mai più avere un Parlamento regionale”. Un attacco frontale all’Assemblea Regionale Siciliana, definita da Calenda un centro di clientelismo e contropotere da disarticolare. E se alcune Regioni andrebbero commissariate, “la Sicilia non deve più avere un Parlamento”, ha scandito senza mezzi termini durante l’intervista.

Per Calenda, le Regioni – e in particolare l’Autonomia speciale siciliana – sono ormai enti inefficaci, dove le competenze su sanità, acqua e infrastrutture andrebbero tolte e rimesse allo Stato. Un sistema, secondo lui, travolto da una logica di potere che frena il progresso dell’isola.

La replica dal fronte istituzionale

La reazione non si è fatta attendere. Stefano Cirillo, segretario regionale della Democrazia Cristiana, ha bollato Calenda come “delirante”, sottolineando l’incoerenza di chi chiede voti in Sicilia salvo poi offenderne le istituzioni. Secondo Cirillo, l’attacco è “un’ossessione priva di fondamento”, che ignora le complessità del sistema regionale.

Il contesto normativo e politico

Dietro alla provocazione, però, c’è un nodo reale: decenni di inefficienze nel governo regionale, con la Sicilia che – pur trattenendo quote consistenti di entrate fiscali – fatica a garantire servizi paragonabili a quelli delle regioni più efficienti. Calenda non è nuovo a questa lettura: già in passato ha definito fallimentare l’autonomia speciale e ritirato competenze a favore dello Stato nazionale, soprattutto in settori cruciali come sanità, infrastrutture e acqua.

Il monito di Calenda riapre così il dibattito sul modello istituzionale siciliano. Da una parte, la battaglia anti-clientelare e la richiesta di maggiore efficienza; dall’altra, la sensibilità identitaria e storica di un’autonomia che ha radici profonde. Il confronto tra la concretezza riformatrice e la difesa dello Statuto è appena cominciato. E, per la Sicilia, il bilancio politico-presidenziale è ancora tutto da scrivere.

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