Passeggiando per il centro storico, addobbato a festa, si percepisce nell’aria qualcosa di trascendente, oltre all’umidità estiva spazzata dal vento caldo. Un’aura carica di aspettative, speranze e devozione, eternamente oscillante tra il sacro e il profano.
Perché Rosalia è la patrona di tutti. A Palermo non importa quale credo tu professi: Rosalia non si tocca.
Anche quest’anno la “Santuzza” attraverserà il Cassaro per raggiungere Porta Felice e affacciarsi al mare, in un tripudio di colori, suoni, corpi e voci. Il tragitto è, ancora una volta, una metafora vivente: frutto di una memoria collettiva, un’immersione intensa e vibrante che, a tratti, ti fa sentire come Giona nel ventre della balena. Palermo, a volte, protegge dalla tempesta; altre volte fa paura per la sua oscurità. Vibrazioni di una città che accoglie e respinge, che respira a fatica, ma non smette mai di cantare.
Questo viaggio metaforico di rinascita porta sempre con sé riflessioni e bilanci per l’intera cittadinanza. Le istituzioni, ormai sempre più sorde, faticano a sentire l’urlo di dolore di chi non arriva a fine mese, non può permettersi di pagare gli studi, vive costantemente sull’orlo dell’emergenza.
Riflessioni che trovano eco nella voce dell’Arcivescovo Lorefice, che ci ha ricordato lo spregevole episodio di Sara Campanella. Lei, insieme a tutte le altre vittime di un patriarcato sempre più brutale e radicato nella nostra società, rappresenta un monito per riflettere sulla direzione che vogliamo prendere.
Non possiamo accettare che l’amaro in bocca arrivi solo dopo l’ennesima tragedia, o solo quando, al cospetto della Santuzza, si rivisita il senso del suo sacrificio. Un sacrificio che ci restituisce l’immagine di una società immersa in un martirio quotidiano a cui, ormai, sembra essersi assuefatta.
Il martirio del lavoro che non c’è – e quando c’è, non basta per arrivare a fine mese; il martirio dei giovani che cedono sempre più facilmente alla violenza, forse nel tentativo disperato di sentirsi vivi; il martirio della solitudine, di chi viene emarginato e non riesce a uscire dalla spirale dell’indifferenza, fino a togliersi la vita.
Un urlo, che dai Quattro Canti della città si alza fino al cielo, mescolandosi alla devozione per Rosalia. È il momento cruciale: cambia il sindaco, ma la rabbia resta. Cammarata, Orlando, Lagalla… non importa il nome né il colore politico. Palermo chiede aiuto. Non si può restare indifferenti.