domenica, 25 Maggio 2025

Il minuto di silenzio anticipato per evitare contestazioni è il simbolo di una memoria sempre più politicizzata e distante dalla gente

Quel silenzio tradito, il 23 maggio non è più di tutti: la memoria, un campo di battaglia

C’è stato un tempo in cui il 23 maggio non aveva bisogno di palchi, cordoni di sicurezza e passerelle politiche. Bastava il rumore delle emozioni, i racconti sussurrati tra le lacrime, i canti intonati dai ragazzi, le lenzuola appese ai balconi, le marce piene di senso e la dignità di un silenzio che alle 17:58 spaccava in due la città. Era un momento sacro. Ora, invece, sembra diventato solo un altro teatro dello scontro politico, un campo minato tra opposte fazioni, una triste recita.

Il 23 maggio 2025 ha toccato uno dei punti più bassi della sua storia recente. Davanti all’Albero Falcone, in via Notarbartolo, il silenzio è stato suonato con dieci minuti di anticipo. Dieci minuti. Non per errore, non per distrazione. Ma a quanto pare per calcolo. Per evitare che arrivassero “quelli dell’altra parte”, quelli che si professano i “manifestanti buoni” dell’antimafia, a quanto pare gli stessi che due anni fa ebbero scontri con la polizia. E così, per paura di uno scontro, delle proteste, si è preferito falsare il ricordo. Modificare il tempo. Manipolare il dolore. Un gesto che in tanti hanno condannato, gridando “vergogna“.

Quel minuto di silenzio, anticipato, dovrebbe essere intoccabile. È il cuore stesso di una giornata che ha il dovere morale di rimanere fuori da ogni dinamica di potere, da ogni sigla, da ogni retorica divisiva. È il momento in cui Palermo si ferma per dire: “Noi non dimentichiamo.” E invece cosa è successo? Che si è deciso deliberatamente di evitare la commozione condivisa, pur di evitare la protesta.

Il 23 maggio non è un bene privato, non è un brand da mettere sul petto come un distintivo. È memoria collettiva. È il sangue di Giovanni Falcone, di Francesca Morvillo, di Rocco Dicillo, Antonio Montinaro e Vito Schifani. Non ha colore, non ha partito, non ha bandiere. E chi ne fa un’arena politica, da destra o da sinistra che sia, tradisce lo spirito più profondo dell’antimafia: quello della giustizia, non del protagonismo.

La verità è che sempre più persone si stanno allontanando da queste commemorazioni. Troppe parole vuote, troppe polemiche, troppe passerelle, troppa strumentalizzazione. Manca la spontaneità di qualche anno fa, quando c’era davvero la città, non il cerimoniale. Quando c’erano le scuole, i racconti, le mani che si stringevano, la pelle d’oca. Quando quel silenzio era davvero assordante.

Bisognerebbe avere il coraggio di restituire il 23 maggio alla gente. A chi lo vive con il cuore, non con il microfono in mano. A chi porta avanti l’antimafia nei fatti, non nei post su Facebook. A chi crede che la memoria non sia una medaglia da appuntarsi sul petto, ma una responsabilità da onorare ogni giorno.

La memoria di Falcone merita di più. Merita verità, merita rispetto, merita silenzio. Ma quello vero. Pieno. Puntuale. Un silenzio che faccia ancora rumore.

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