Palermo, città di una bellezza struggente e contraddittoria, porta ancora le cicatrici di un passato turbolento. Tra gli anni ’50 e ’60, un’ondata di speculazione edilizia senza precedenti, tristemente nota come il “Sacco di Palermo“, trasformò per sempre il volto della città.
Sotto lo slogan ipocrita di “Palermo è bella, facciamola più bella”, promosso dal sindaco Salvo Lima e dall’assessore Vito Ciancimino, si consumò uno scempio urbanistico che cancellò per sempre ville liberty, palazzi storici e giardini secolari. Le gebbie, un tempo utilizzate per l’irrigazione degli agrumeti, divennero vasche per impastare il cemento, simbolo di un progresso distruttivo e senza scrupoli.
Interi quartieri residenziali sorsero senza criterio, divorando la Conca d’Oro e seppellendo la memoria storica della città. La furia cementificatrice non risparmiò nemmeno zone di pregio come via Notarbartolo e via della Libertà, dove la nuova città si sovrappose brutalmente alla vecchia, cancellando il volto floreale di Palermo. Paradossalmente, questo scempio ha preservato il centro storico, abbandonato a se stesso e per questo giunto quasi intatto fino ai giorni nostri.