“La dura legge del gol”, questa la formuletta facile facile individuata da Max Pezzali come metafora della vita ma che spiega in maniera elementare anche il gioco del calcio. E, in effetti, come dargli torto. Si può filosofeggiare come il miglior Schopenauer con l’accento toscano o come il più ispirato Jung al sapore di ricciolino senese, ma se non si fa praticamente mai un gol in più dell’avversario – con oltre un terzo del campionato che ha già fatto bye bye ai rosanero – come si pretende di trasformare in fatti un fiume di parole che manco i Jalisse?
E dire che il Palermo un calciatore in grado di buttare la palla in fondo alla rete ce l’ha. Si chiama Matteo Luigi Brunori. Quello con il numero 9, il capitano. Quello che in maglia rosanero ha realizzato 67 gol in 139 presenze. Quello che per due anni di fila ha incastonato 17 perle nella collana dei gol del Palermo. Quello che – se proprio non fosse chiaro – da settimane marcisce in panchina, nonostante sia fisicamente a posto, o gli si conceda appena qualche minuto buono solo per gli almanacchi.
Una decisione, quella di escludere Brunori dal progetto prestativo e performante di un Palermo che segna poco e vince meno, del quale il tecnico Dionisi se ne è ufficialmente intestato la paternità (“è solo una scelta tecnica”), in un contesto nel quale la squadra rosanero ha percentuali di realizzazioni offensive simili a quelle di Italia Viva alle elezioni nazionali.
Una decisione che con altro genere di dirigenze – alla luce dei (non) risultati ottenuti – avrebbe indotto a fare qualche ragionamento. Qui, no. A Palermo gli allenatori godono di un’immunità che neanche i parlamentari nazionali. Poco importa se alcuni offendono i giornalisti e altri i tifosi. A Palermo l’allenatore ha sempre ragione. E se non vi sta bene potete anche andare a tifare per il Lommel o il Troyes. Per quello che cambia…