Basta farsi un giro sui social per percepire il malcontento delle famiglie per una scelta quantomeno audace da parte dell’Arcidiocesi di Palermo. Una vera e propria rivoluzione che costringerà i bambini che dovranno prepararsi alla Prima Comunione a frequentare 5 anni di catechismo. Un percorso che porterà nello stesso giorno, all’età di 12 anni, anche alla Cresima.
Tradizionalmente, i sacramenti della Comunione e della Cresima sono stati celebrati separatamente, con una distanza temporale che ha permesso ai giovani di maturare spiritualmente tra un rito e l’altro. Tuttavia, l’arcidiocesi di Palermo ha scelto di accorpare questi momenti cruciali della vita cristiana, vedendo in questa decisione una via per una preparazione più approfondita e completa.
Dopo aver abolito la figura dei padrini e delle madrine nei battesimi e nelle cresime, Monsignor Corrado Lorefice continua dunque con gli esperimenti. Questo che unisce prima comunione e cresima e che aumenta da tre a cinque anni di catechismo la preparazione ai sacramenti ci pare, a dire il vero, piuttosto azzardato. Sembra quasi un’imposizione, ciò che non dovrebbe essere la Cresima, detta anche confermazione, che è il completamento del battesimo che viene dato in un’età in cui si è ancora inconsapevoli.
Una decisione che merita una riflessione critica. Sebbene l’intento sia di offrire una preparazione più completa e profonda, la scelta solleva preoccupazioni significative riguardo all’efficacia e all’impatto di un tale programma.
Se questo è un tentativo di avvicinare i giovani e le famiglie alla chiesa, appare quasi scontato che si otterrà l’effetto contrario. La società in cui viviamo ha ormai dei ritmi di per sé poco sostenibili, con genitori costretti a lavorare entrambi per poter vivere dignitosamente. Padri, madri, nonni, lì dove sono ancora presenti, fanno i “salti mortali” per riuscire ad incastrare lavoro, scuola e attività post didattiche dei bambini, tra cui gli incontri del catechismo. Questa scelta dell’Arcidiocesi rappresenta un ulteriore fardello, una pressione che non tutti riusciranno a sostenere.
C’è chi può permettersi babysitter, maggiordomi e tate, c’è chi può contare su nonni o zii. Ma c’è anche chi non ha tutto ciò e non ha la possibilità di sostenere un impegno così lungo e costante. Questo potrebbe creare disparità nell’accesso alla preparazione sacramentale, escludendo i più vulnerabili e accentuando le disuguaglianze sociali all’interno della comunità.
Una decisione che lascia spiazzati anche chi con Comunioni e cresime ci lavora, come i fotografi, le sale trattenimento, i fiorai, i negozi di bomboniere, che vedranno diminuire notevolmente i propri guadagni. Anche perché, se questa rivoluzione entrerà davvero in vigore è probabile che per due anni non verranno celebrate comunioni e cresime, visto che i corsi di catechismo passeranno da tre a cinque anni.
Ciò che va anche considerata, e non è certamente cosa da poco, è l’età in cui i nostri giovani dovranno fare la prima comunione. Perché tra 10 e 12 anni, e chi è genitore lo sa, c’è un’enorme differenza. Già il solo pensare di far indossare una tunichetta bianca ad un ragazzo dodicenne che frequenta la seconda media significa non conoscere i giovani di oggi. I rischi sono evidenti: un’eccessiva pressione sulle famiglie, un carico insostenibile per i ragazzi e possibili conflitti tra genitori e figli. Un cambiamento che va rivisto, magari indagando maggiormente le famiglie moderne e le nuove generazioni, evitando rigidità e posizioni antiche che poco si addicono ai ritmi attuali e alle nuove generazioni.